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Verlato, realtà e allegoria nella Passione di Pasolini

Fonti letterarie e cinematografiche si sommano alla cronaca in un omaggio al grande intellettuale

Verlato, realtà e allegoria nella Passione di Pasolini

A Roma, alle Terme di Diocleziano, nei vasti spazi dove si agitano, come fantasmi, sculture antiche fra lapidi e sepolcri, Nicola Verlato racconta la morte di Pier Paolo Pasolini in grandi teleri da cui si affacciano, riemergendo dalla memoria, intorno al corpo straziato del poeta, i personaggi che lo hanno accompagnato o ispirato, Ezra Pound, Orson Welles, Anna Magnani, Maria Callas, Totò, Franco Citti, impaginati come i dolenti nel Seppellimento di Santa Lucia di Caravaggio a Siracusa. È questa l'opera che io proposi a Verlato come testo di riferimento e di ispirazione per un d'apres che è la più grande e principale di una serie di quattro tele che propongono, con la resurrezione rovesciata verso il mito del ritorno nel grembo della madre, diverse versioni della morte di Pasolini.

«Finché io non sarò morto, nessuno potrà dire di conoscermi veramente, cioè di poter dare un senso alla mia azione, che dunque, in quanto momento linguistico, è mal decifrabile». La morte accompagna la vita di Pasolini e ne favorisce una interpretazione psicoanalitica che è come il tuffo a ritroso nel mondo dell'infanzia descritto da Verlato. Si tratta di una vera e propria Passione. Diverse sono le fonti di ispirazione, letterarie e cinematografiche. Il pittore Giuseppe Zigaina propose l'interpretazione più radicale e mistica; e fu anche più estremo nel rispondere alle domande di Mary B. Tolusso in una intervista sul senso della morte di Pasolini, pubblicata sul quotidiano Il Piccolo, l'1 novembre 2005:

«Pasolini ha fatto una imitatio Christi, portata fino alla testimonianza ultima, che sarebbe il martirio. Era profondamente religioso, ma aveva un'idea arcaica del sacro, non a caso ha scritto Io sono un cristiano delle origini o uno gnostico moderno, nel senso che era perfettamente cosciente che i primi tre secoli del cristianesimo coincidevano con la grande fase della gnosi, della ricerca, elementi che hanno fondato tutto il suo pensiero: la credenza nella magia, nella santità, ma anche nella celebrazione dell'orgia sacra. Io sono un pittore di professione e sono stato costretto a scrivere sulla morte di Pier Paolo perché lui me lo ha chiesto».

«Come?»

«Tramite messaggi che mi mandava. Per esempio ha bloccato per tre giorni le riprese del Decameron facendomi telefonare da Rossellini, decisamente disorientato perché Pier Paolo stava immobile dicendo: il mondo non mi vuole più e non lo sa. Di questo rifiuto Pasolini era cosciente e volle realizzare il dramma di questo ripudio. Pasolini mi costrinse a interpretare quello che lui faceva, scriveva e ogni suo atteggiamento nei miei confronti. Le faccio un altro esempio. Tra il 5 e il 6 novembre del 1975 io ricevetti tutto il film di Salò, allora non mi rendevo conto del significato di questa azione, sapevo solo che era morto, ma non avevo messo in collegamento i due avvenimenti mentre Pasolini aveva già teorizzato tutto questo in Empirismo eretico in termini espliciti, dicendo che il montaggio cinematografico, che è la conclusione del film, è analogo all'azione esplicitata dalla morte nella vita di uomo. Ora tutto questo che cosa poteva voler dire? Per me il significato è stato: io mi sono fatto uccidere, sono morto».

«Ci sarebbe dunque un messaggio da decifrare negli scritti di Pasolini e che rimanda alla sua morte...».

«Dagli anni '60 tutti i titoli delle sue opere sono in codice, nel senso che hanno un valore assoluto, riassuntivo e logico di tutta la sua opera. Ma di questa morte annunciata le evidenze sono tante, la stessa scelta della data, il 2 novembre del 1975, ha una ragione d'essere che risale al calendario perpetuo. Ma non solo, sono troppi gli elementi d'incastro per parlare di coincidenze. Gli studiosi non danno importanza a queste combinazioni, ma il mio impegno continua nella diffusione dell'altra verità».

Nella seconda tela, allegorica, Verlato evita ogni interpretazione cristologica e sceglie la suggestione della sovrapposizione di Pasolini con un eroe laico della contraddizione come Christopher Marlowe, e la mette in scena con una scelta estrema. Marlowe fu un personaggio controverso e discusso la cui libertà di pensiero fu intesa come ateismo e satanismo, con l'insinuazione di attività politiche segrete, libertinaggio, omosessualità. Trovò morte violenta in una osteria di Deptford durante una rissa. Con questa lettura, Verlato trasferisce l'episodio della morte di Pasolini in una rappresentazione teatrale, con l'ambientazione di una locanda in prossimità dei Docks di Londra di cui sul fondo si vedono gli alberi delle imbarcazioni in porto. Quelle di Marlowe e di Pasolini sono vite parallele, vicende drammatiche in cui letteratura e vita coincidono.

Lo stesso Verlato ha scritto: «Voglio rappresentare il momento in cui le cose si spostano da un piano dell'esistenza ad un altro, quello mitologico (...). Il mio metodo di lavoro consiste nel raccogliere quella massa di dati accumulati dagli individui su un determinato soggetto. Poi li trasformo in un modello, produco cioè una metafisica al contrario: ricavo l'idea di un soggetto a partire dalle sue varie manifestazioni concrete. È una metafisica dell'ovvio perché sono in realtà affascinato dalle stesse cose che interessano a tutti, quelle cioè che disseminano il maggior numero di tracce nei media e nell'immaginario collettivo: James Dean, Fifty Cent o quant'altro sono delle nuvole fenomeniche-mitologiche, cariche di informazioni e pronte per essere organizzate in modelli».

Il secondo telero corrisponde alla ricostruzione, proposta da più parti, di un assassinio politico, dunque di un complotto, non di una vicenda passionale legata ai rapporti sessuali con Pino Pelosi. Il giovane è un'esca, per portare il poeta, pericoloso e minaccioso per le sue denunce, riflesse in Petrolio, nel luogo dell'agguato dove lo attendono con bastoni alcuni aggressori, tra i quali un nero. L'ispirazione viene dalla sceneggiatura del film di David Grieco, La macchinazione, incentrata sull'episodio della richiesta di un riscatto per il furto del negativo del film Saló o le 120 giornate di Sodoma, che sarà una trappola per ucciderlo. Interpretazione suggestiva anche se non dimostrata. Ma Verlato racconta e definisce la situazione del dramma, aldilà della realtà effettuale. Il taglio è ancora una volta cinematografico, con l'atmosfera del notturno accentuata dal dialogo tra la luna e i fari dell'automobile. Torna Raffaello: la diretta ispirazione di Verlato è dalla Liberazione di San Pietro nelle Stanze vaticane. Caravaggio è lontano. Carpaccio nei suoi teleri sostituiva il verbo pinxit con finxit, a dire la sua intenzione di raccontare una storia come «finzione» narrativa. Ciò che oggi si chiama fiction.

Non per caso Verlato dipinge nel tempo e con la misura psicologica del cinema, e la sua realtà è cinematografica. Il ciclo su Pasolini è una serie di ipotesi che, da teorie, diventano immagine. Per questo esiste la pittura. Per i concetti, c'è la filosofia.

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