Vignette, le proteste decise in un summit arabo

Al vertice di dicembre parteciparono Iran, Arabia, Siria ed Egitto

Fausto Biloslavo

Paesi come l’Iran, l’Arabia Saudita, la Siria e l’Egitto discussero delle caricature di Maometto a una riunione alla Mecca in dicembre. In pratica si trattò del beneplacito governativo alle proteste seguite poche settimane dopo, secondo un piano inteso a mandare un forte avvertimento all’Occidente. Lo ha rivelato nell’edizione di ieri il New York Times in una dettagliata ricostruzione della vicenda, mentre le manifestazioni contro le vignette incriminate continuano, anche se la protesta tende a scemare e non si registrano violenze.
Lo scorso dicembre i rappresentanti di 57 Paesi musulmani si sono riuniti alla Mecca, città santa dell’Islam, vietata ai non musulmani, per un incontro dell’Organizzazione della Conferenza islamica. All’ordine del giorno c’era anche la discussione sulle vignette che ridicolizzavano Maometto. All’incontro erano presenti, oltre ai massimi dignitari sauditi, anche il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad. Il comunicato finale del summit della Mecca esprimeva «preoccupazione per l’aumento dell’odio nei confronti dell’Islam e condanna per la recente dissacrazione del Santo Profeta Maometto sui media di alcuni Paesi (...) che usano la libertà d’espressione come pretesto per diffamare la religione».
All’inizio delle proteste il Giornale ha rivelato che alcuni imam danesi avevano organizzato un tour propagandistico in Medio Oriente, mostrando le vignette e caldeggiando una reazione delle masse islamiche. Ora si scopre che la questione era stata trattata a livello di governi, come dimostra il fatto che a metà dicembre il ministro degli Esteri libanese, Fawzi Salloukh, incontrò l’ambasciatore egiziano a Beirut. Questi doveva consegnare una lettera del ministro degli Esteri egiziano, Aboul Gheit, che sollecitava il collega libanese a darsi da fare per la vicenda delle caricature. Allegata alla lettera c’erano anche alcune vignette «incriminate». La riunione della Mecca ha poi sancito l’appoggio politico alle future proteste.
La faccenda diventa ancora più sospetta tenendo conto della rivelazione fatta ieri dall’ambasciatore danese al Cairo, Bjarne Soerensen. Secondo il diplomatico, alcune caricature erano state pubblicate già il 17 ottobre, proprio sul giornale egiziano Al Fagr, accanto a un articolo di condanna della satira su Maometto. La pubblicazione, addirittura sul territorio musulmano, non aveva però scatenato alcuna manifestazione di piazza. Ieri i musulmani sono scesi in piazza in Sud Africa, Indonesia, Bangladesh, Kashmir indiano e Azerbaijan. La manifestazione più imponente si è tenuta in Libano, con almeno mezzo milione di sciiti che a Beirut onoravano la ricorrenza dell’Ashura, la morte in battaglia dell’Imam Hussein, nipote di Maometto. «Oggi difendiamo la dignità del nostro Profeta a parole, ma lasciateci dire a George Bush e al mondo arrogante che siamo pronti a difenderlo con il sangue», ha dichiarato davanti alla folla osannate lo sceicco Sayyed Hassan Nasrallah, leader degli Hezbollah, il Partito di Dio filo-iraniano. La folla, oltre a scandire slogan contro Stati Uniti e Israele, gridava: «Nessuna dignità a nazioni che insultano il Profeta».


In Afghanistan, il mullah Dadullah, capo militare dei resti dei talebani, ha dichiarato che le caricature di Maometto sarebbero servite a reclutare oltre 100 nuovi kamikaze, che verranno impiegati contro «obiettivi infedeli».
Tre capi redattori del New York Press si sono dimessi per protesta perché la testata non ha voluto pubblicare le caricature di Maometto.

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