Contro ogni previsione la Cina ha risposto, giustificando la propria azione, all'annuncio da parte di un giudice spagnolo di voler interrogare otto alti esponenti cinesi sospettati di essere responsabili della repressione da parte di Pechino dei moti del Tibet della primavera del 2008.
«L'incidente del 14 marzo 2008 che si è verificato a Lhasa è stato un atto criminale violento e grave e il governo cinese aveva il diritto di gestirlo secondo la legge», ha dichiarato nel corso di un incontro con la stampa il portavoce del ministero degli Esteri cinese Ma Zhaoxu. «Chiediamo ai Paesi interessati di rispettare la legge internazionale e le norme fondamentali che regolano le relazioni internazionali e di non incoraggiare le forze indipendentiste», ha aggiunto, omettendo di dire se Pechino fosse favorevole alla richiesta del giudice spagnolo Santiago Pedraz.
Quest'ultimo ha annunciato l'invio di una commissione rogatoria alle autorità cinesi per chiedere l'autorizzazione a recarsi in Cina e interrogare gli otto responsabili, fra i quali figura il ministro della Difesa cinese, Liang Guanglie.
La magistratura spagnola si è dichiarata nell'agosto 2008 competente per istruire un procedimento su denuncia del Comitato di sostegno al Tibet (Cat), depositata a Madrid, contro i responsabili politici e militari cinesi.
Secondo il Cat, la repressione dei moti in Tibet costituisce «un crimine contro l'umanità per l'eliminazione sistematica e generalizzata dei tibetani, per le gravi ferite, le torture e le scomparse forzate». La repressione ha causato, secondo loro, almeno 203 morti, più di mille feriti gravi e 5.972 fra arresti illegali e scomparse.Secondo Pechino, invece, un solo tibetano è stato ucciso dalle forze dell'ordine.
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