
da Mogliano Veneto
Tappe bio-biblio-geografiche della travagliata avventura umana e letteraria di Giuseppe Berto. Mogliano Veneto, dove nasce, un po' per caso, nel 1914, figlio delle peregrinazioni di un maresciallo dei Carabinieri. Treviso, dove finisce - con scarso impegno e abbondante fortuna - il liceo. Padova, città di cui frequenta più caffè e biliardi che l'Università. Sicilia, dove fa il servizio militare e impara ad amare il Sud. Africa orientale, dove si fa quattro anni di guerra (1935-39), e Africa settentrionale, dove combatte un anno (1942-43) nelle Camicie Nere. Texas, dove nel settembre '43, catturato dagli Alleati, è deportato nel "Fascists' Criminal Camp" di Hereford e scrive quello che sarà Il cielo è rosso. Roma, città in cui finita la guerra si trasferisce e lavora per il cinema e per i giornali. Calabria, dove nel '57 acquista un terreno a Capo Vaticano, vi costruisce una casa, ci vive a lungo, scrive i suoi capolavori, tra cui Il male oscuro; e dove è sepolto.
Eccoli i "luoghi" di Berto attraverso i quali si snoda la grande mostra Verso la gloria che apre oggi (fino al 9 novembre) a Mogliano Veneto, nel Centro d'Arte e cultura Il Brolo, "dietro la piazza, a due passi dalla strada che per Berto rappresentava la quintessenza del paese", come raccontano i curatori Matteo Giancotti e Emilio Lippi. Costruita con una selezione dei materiali più interessanti dell'archivio dello scrittore - custodito dalla moglie Manuela Perroni e dalla figlia Antonia, poi grazie alla mediazione di Cesare De Michelis acquisito nel 2014 dall'Associazione Giuseppe Berto e quindi affidato all'Università di Padova dove è stato inventariato e digitalizzato - la mostra espone per la prima volta manoscritti, dattiloscritti con correzioni autografe, libri, lettere, agende, giornali e fotografie che raccontano gli accidentati snodi della vita e dell'opera del narratore. Uno dei nomi imprescindibili del nostro Novecento.
Nelle teche carte e documenti originali, nei pannelli a parete le immagini d'epoca e i testi. Così, in un viaggio suddiviso in tredici stazioni, si raccontano i saliscendi della carriera di Berto: l'esordio straordinario, la caduta da cui si risolleva in modo glorioso ma non risolutivo, i trionfi e i tonfi, le delusioni e i successi, fra tormenti, esibizionismi, fragilità. Come spiegò bene Dario Biagi in quella che resta la più bella biografia dello scrittore, Giuseppe Berto è stato a lungo vittima di una congiura del silenzio da parte dei gruppi dominanti la vita intellettuale nazionale. Un po' per questioni politiche ("Non sono fascista, ma non sono nemmeno antifascista. Sono un isolato", rivendicava), un po' per invidia (la sua la vita tra guerre, prigionia, fughe, cinema e giornalismo, risse, malattia, vittorie strepitose e cadute altrettanto memorabili, era più romanzesca del suo miglior romanzo). Ora è il momento della gloria.
"La novità della mostra - spiega Matteo Giancotti, italianista a Padova e responsabile scientifico dell'Archivio scrittori veneti - è quella di illustrare la rete di relazioni, di cui poco si sapeva, che Berto intrecciò con intellettuali come Bianciardi, Parise e Zanzotto, insomma autori di riferimento di un ambiente culturale non consono, diciamo così, al pregiudizio politico che gravava sull'autore. Lui, considerato di destra, aveva un rapporto onesto e sincero con scrittori di sinistra. È un'altra conferma di una vita in conflitto con se stesso e con il mondo di un uomo che amava esibirsi ma subiva le proprie debolezze, cacciandosi spesso nei guai, uno capace di mandare una lettera a un direttore di giornale firmandola Con la mia più profonda disistima pronto a pagare la sua sincerità con la fine di una collaborazione. Questo era Berto".
E questa la sua vita. Ecco le agendine sulle quali il tenente Berto, partito volontario per l'Africa orientale, si appunta tutto ciò che gli servirà per il libro Guerra in camicia nera. Ecco il bellissimo quaderno rilegato in cui scrive con pazienza, negli interminabili giorni della prigionia di Hereford, La perduta gente, che Longanesi pubblicherà nel 1947 cambiando il titolo in Il cielo è rosso, uno dei primi bestseller dell'editoria italiana. E poi il dattiloscritto del Male oscuro, segnato da correzioni autografe a penna e da interventi a matita dell'editore - col quale Berto litigherà - che voleva mitigare i passaggi più scabrosi. Ecco la lettera, senza data ma probabilmente del '58, in cui Parise, all'epoca nel consiglio d'amministrazione della Longanesi, gli intima "Dammi un romanzo, ostia!". E poi le tante lettere scambiate con Zanzotto il quale, dopo aver letto la serie di racconti Un po' di successo, del '63, quando Berto ha appena iniziato la psicanalisi, gli augura "uno smagliante sfondamento". E le recensioni dei suoi libri, e persino le classifiche di vendita, incollate su grandi fogli bianchi. E le foto, come quella di un Berto con una vistosa barba lasciata crescere in segno di lutto per la morte di Hemingway, o quella in cui lavora alla costruzione della casa a Capo Vaticano. Ed ecco i manifesti originali dei film tratti da suoi romanzi e a quali lavorò al soggetto o alla sceneggiatura (Berto sognava di fare il regista ma non ci riuscì, anche se ci arrivò vicino quando il produttore Peppino Amato gli affido la regia del film Il brigante, che poi però gli tolsero di mano per farlo dirigere a Renato Castellani, e il suo nome sparì anche dalle locandine), pellicole famose come La cosa buffa o Oh, Serafina!, o persino blockbuster come Anonimo veneziano, ma anche pezzi da cineteca come la commedia Togli le gambe dal parabrezza con Alberto Lionello e una Carole André sedicenne, ispirato al racconto La ragazza va in Calabria.
Ed ecco, soprattutto - un inedito assoluto - il dattiloscritto di un testo, intitolato Il luogo (1968), scritto su richiesta di Zanzotto per una pubblicazione locale e che testimonia la memoria dei paesaggi della giovinezza e il legame profondo di Berto con le proprie radici: il ritorno a casa di uno sradicato. A Mogliano.E il cerchio del lungo viaggio, così, si chiude.