È in via della Vite la farmacia più antica di Roma

In via della Vite, all’angolo con via del Gambero, in pieno centro storico, si trova l’«Antica Farmacia Reale», la farmacia ancora in attività più vecchia di Roma. È qui che, fin dal 1672, i romani hanno acquistato polveri, sciroppi ed elettuari per curare i loro malanni.
Il negozio conserva ancor oggi, intatti, i soffitti decorati e i pavimenti originali della sua fondazione; le eleganti stigliature, in legno massiccio, risalgono invece all’inizio dell’Ottocento. Con l’Unità d’Italia il negozio divenne fornitore ufficiale di Casa Reale, come dimostra lo stemma sabaudo appeso all’architrave del soffitto.
Il primo fondatore risulta, dagli antichi documenti, un tale Andrea De Auria che, alla fine del Seicento, era titolare di una «apotheca ad usum semplicitariae». Morto il De Auria, la vedova vendette l’attività, per 747 scudi e 97 baiocchi, all’apotecario Francesco Ippolito Prandoni. Anticamente, i farmacisti venivano chiamati «apotecari», ma il nome fu abbandonato in favore del titolo di «pharmacien», (dal greco «pharmacon», che significa medicamento), da quando, in Francia, questa figura professionale cominciò a essere bersagliata dalla satira per la pratica smodata degli enteroclismi. La parola «apotheke» continua a essere utilizzata nella lingua tedesca per indicare la farmacia.
La Farmacia del Gambero passò di proprietario in proprietario senza mai interrompere l’attività, fino al 1948, quando fu acquistata dalla famiglia dei conti Tassoni di Niviano, i cui discendenti continuano a custodire gelosamente le carte e i registri originali che testimoniano le varie epoche che la farmacia ha vissuto. Nelle vetrine del negozio fanno bella mostra di sé i vasi da farmacia in ceramica dipinta, dove si riponevano spezie e minerali, accanto ai mortai di pietra e di bronzo dove questi ingredienti venivano pestati finemente e ridotti in polveri e pomate.
La farmacia conserva anche degli ingegnosi strumenti di metallo istoriato che servivano per il confezionamento di supposte, ovuli e pillole. Più recenti, ma non meno interessanti, i microscopi dell'inizio del Novecento. Un bacile di terracotta smaltata, presumibilmente del XVIII secolo, doveva raccogliere il sangue dei salassati.
Oltre al salasso, una vera panacea era ritenuta una disgustosa mistura che i nostri antenati sicuramente acquistavano sotto le volte della farmacia: la cosiddetta «Teriaca». Fatta risalire addirittura a Mitridate re del Ponto, fu il più diffuso dei polifarmaci, preparato con un'infinità di ingredienti tra cui spiccava la carne di vipera.


Di ben altra efficacia erano tutte le sostanze oppiacee, usate come rudimentali anestetici per le operazioni chirurgiche. Testimone del loro utilizzo medico fino all’epoca contemporanea, è un vaso di circa un secolo fa conservato dalla farmacia, che reca la scritta «Coca». Ma, naturalmente, il vaso è vuoto…

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