Le vittime del Madoff romano temono il Fisco

Sequestrati gli elenchi dei clienti di Gianfranco Lande: in 700 avevano rimpatriato i soldi dall’estero con il condono tombale. Ma c’è chi ha fatto tutto in "nero". E spunta un altro scandalo: il crac di un broker vicino al Pd della Capitale

Le vittime del Madoff romano temono il Fisco

Gian Marco Chiocci - Patricia Tagliaferri

Roma - Non solo vip. Ci sono centinaia di per­sone qualunque tra gli investitori caduti nella rete del Madoff dei Parioli. Gente che ha affidato tutti i propri risparmi alla finan­ziaria della Roma bene guidata da Gian­franco Lande, la mente dell’organizzazio­ne, responsabile secondo la Procura di Ro­ma di truffe per 170 milioni di euro. Denaro che avrebbe dovuto lievitare grazie ad inte­ressi fino al 15 per cento e che gli investitori credevano al sicuro in banche alle Baha­mas, alle Isole Vergini, in Inghilterra, in Lussemburgo, e che invece sarebbe stato utilizzato per comprare appartamenti di lusso, barche, auto e multiproprietà. Nuovi particolari, ora, emergono dalle carte depositate al Tribunale del Riesame: 700 nominativi di persone che, secondo al­cuni prospetti sequestrati dalla Finanza, avrebbero fatto ricorso allo scudo fiscale. Ma una lista di altri 500, che era nascosta in un garage e che è stata consegnata agli in­quirenti da un dipendente di Lande, con­terrebbe i nomi di chi invece avrebbe prefe­rito non sanare la propria posizione facen­do rientrare i capitali dall’estero. In carcere con il broker che prometteva ai suoi mille e cinquecento clienti investimenti in grado di moltiplicare i rendimenti, sono finiti an­che Roberto Torreggiani, Giampiero Ca­stellacci di Villanova, Andrea e Raffaella Ra­spi. E ora alcuni di loro rischiano anche l’ac­cusa di riciclaggio per aver investito 14 mi­lioni di euro del clan dei Piromalli. Tantissi­mi anche i nomi dei personaggi famosi che avevano creduto a Lande&soci affidando loro somme anche di una certa importan­za: Massimo Ranieri, Sabina Guzzanti, Heinz Beck, gli ex calciatori Giovanni Strop­pa e Stefano Desideri (e ora spunta anche l’ex romanista Ruggiero Rizzitelli) Saman­tha de Grenet, Claudio Sorrentino, Neri Corbucci, Enrico Vanzina.

Gli inquirenti vogliono ora esaminare ogni singola posizione. E molti clienti truf­fati potrebbero ritrovarsi a loro volta nei guai con l’Erario. Oltre al danno la beffa, insomma. Perché il pm Luca Tescaroli vuo­le accertare anche la provenienza dei soldi degli investitori e verificare se questi fosse­ro in regola con il pagamento delle tasse oppure se il denaro fosse stato affidato agli operatori finanziari per farlo approdare nei paradisi off shore aggirando il fisco. Molti, come risulta dalle carte, hanno poi aderito allo scudo, ma anche le loro posizio­ni verranno analizzate dai pm per verifica­re se tutte le operazioni di «rientro» e di «provvista» siano state svolte correttamen­te. Dai documenti emerge anche un parti­colare curioso: alcuni simpatizzanti di sini­stra, antiberlusconiani doc, che all’epoca fecero guerra allo scudo fiscale, sono ricor­si alla «sanatoria». Spunta, poi, un secondo elenco, sequestrato a Torreggiani, in cui ac­canto ai nomi degli investitori il broker an­notava quelli di chi li aveva introdotti con relativi numeri di telefono. A presentare David Riondino, per esempio, fu Sabina Guzzanti.Ma c’è chi fu presentato agli inve­stitori da una qualche suocera o ex moglie, da un ex San Paolo, da un amico, da un gio­­catore, da un ambasciatore.

Intanto si profila un nuovo caso, un Ma­doff 2 romano, come lo definisce il Wall Street Italia che anticipa sul proprio blog la notizia di un raggiro da svariati milioni di euro ai danni di decine di clienti: avvocati, medici, ingegneri, molti soci dell’esclusivo Tennis Club Parioli. All’origine del crac una serie di investimenti sbagliati in borsa che hanno portato al fallimento di una so­cietà d’intermediazione mobiliare, la Or­consult Capital Management Italia Spa, che farebbe capo a un agente di cambio vi­cino agli ambienti romani del Partito De­mocratico. Il broker- secondo il WSI- è sta­to costretto «a liquidare il patrimonio della Sim vendendo sia gli uffici che il proprio appartamento ai Parioli oltre a un’azienda agricola di diversi ettari in Toscana (...)».

Lo schema utilizzato era quello classico: immissione di capitali freschi per coprire le liquidazioni dei clienti in uscita. Un mec­canismo che si sarebbe inceppato a segui­to della crisi nata dal fallimento di Lehman Brothers.

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