«Lei non sa chi sono io!». Se c'era qualcuno che poteva pronunciare questa frase a buon diritto, questi era Ulisse. Figlio di re (Laerte) e re lui stesso, autore di clamorose imprese (una su tutte la costruzione del cavallo di Troia), definito saggio da Atena e addirittura divino da Giove, valoroso in battaglia, astuto come nessuno tra i greci eccetera, l'eroe omerico avrebbe potuto gridare alto il suo nome anche davanti a Polifemo, ma preferì chiamarsi Nessuno. Come a dire Niente, Persona che non conta nulla, Ultima ruota del carro. E fu questa (falsa) modestia che gli salvò la vita, assieme a parte dei compagni. Pur non essendo sovrani di uno Stato retto a monarchia (pur non essendo neppure dispensieri di corte), uomini illustri per eccelse virtù e valore guerriero, individui capaci di mettere in pratica accorgimenti sottili e abili, e pur non avendo distrutto città, resistito al richiamo di sirene, accecato ciclopi, essere discesi nel Regno dei morti eccetera, molti alla prima occasione gridano in faccia al prossimo: «Lei non sa chi sono io!».
Lo ha fatto anche il signor Vittorio Passeggio, 54 anni, napoletano, tutto aspettandosi fuorché questa esclamazione «classica» gli costasse otto mesi di reclusione (pena sospesa) e 250 euro di multa.
Ma ecco come sono andati i fatti. Due agenti di polizia erano impegnati in un servizio antidroga nel quartiere Scampìa, a Napoli. Mentre salivano le scale di uno degli stabili chiamati Vele, sono stati affrontati dal signor Passeggio, che in quel palazzo abita. Forte della sua posizione di leader e fondatore del «Comitato Vele», l'uomo ha inveito contro i poliziotti («Andate via di qui!»), ne ha ridimensionato la figura («Chi vi credete di essere?») e ha mostrato opinione esagerata del proprio valore e della propria importanza («Voi non sapete chi sono io!»).
La sua voce tenorile ha messo in allarme un «figuro» che i poliziotti stavano pedinando, permettendogli di scappare. È scattata allora la denuncia per minaccia, e conseguente condanna.
La sentenza, di per sé già curiosa (ignoravo che esistesse un reato di albagia o prosopopea) lo è ancora di più quanto si tiene conto dei distinguo operati dal giudice dell'XI sezione penale di Napoli: «Tali espressioni, di per loro non necessariamente minacciose, assumono tale valenza se rapportate al luogo - uno dei più pericolosi della città - e alle circostanze».
E nelle zone intermedie? La logica direbbe: «Lei non sa chi sono io! Ma d'altronde, come potrebbe saperlo? Se mi fa l'onore di accettare un caffè, glielo dirò in due parole».
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