Fino a una decina di anni fa Serghei Pugachev (nella foto sopra) era conosciuto come il «banchiere del Cremlino»: con le sue disponibilità finanziarie aveva contribuito a consolidare il potere di Vladimir Putin a cui era legato da un rapporto di amicizia che coinvolgeva anche le famiglie. Caduto in disgrazia per motivi non del tutto chiariti, è riuscito a salvare solo i beni che aveva accumulato all'estero. Le sue proprietà in Russia sono state tutte sequestrate, compreso il lussuoso albergo che aveva rilevato sulla piazza Rossa. Oggi vive in Gran Bretagna, protetto dalla polizia che teme attentati ai suoi danni.
Tra gli informatori più citati da Catherine Belton nel suo libro («Putin's People», William Collins Londra) c'è anche lui. Molti, e per motivi tutto sommato comprensibili, figurano solo in forma anonima. Ma il quadro che contribuiscono a delineare è chiaro. La storia è quella di un centro di potere, gli apparati di sicurezza dell'ex Unione Sovietica e in particolare il Kgb, che alla caduta del regime comunista e dopo un periodo di disorientamento, sono tornati al centro della scena.
Usciti dalle migliori scuole, abituati a viaggiare e a confrontarsi con il mondo occidentale (tra i loro compiti c'era quello di rifornire l'Urss di valuta pregiata) gli ex agenti segreti hanno imparato presto le regole del Far West capitalista. Negli anni Novanta hanno assistito sgomenti all'emergere degli oligarchi del periodo di Eltsin, variabili impazzite del sistema. Poi con Vladimir Putin hanno ripreso il controllo della situazione. Anche la storia dell'ormai ventennale numero uno russo, a giudizio della Belton, va rivista. A cominciare dagli inizi. Per esempio dal periodo trascorso a Dresda per un incarico considerato di solito di scarsa importanza. Non è così, secondo la giornalista inglese, per la quale Dresda, più defilata rispetto a Berlino Est, era la vera capitale del commercio clandestino di tecnologie a favore dell'Urss.
Lo stesso si può dire degli anni da vice-sindaco di San Pietroburgo, luogo e incarico strategici per il controllo del maggior porto verso l'Occidente, con i terminali petroliferi in grado di garantire, a chi ne sapesse approfittare, l'accumulazione di enormi ricchezze.
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