«Vogliamo una grande moschea ma a Rho-Pero non ci andremo mai»

«Noi preghiamo per tutti, anche per i milanesi», dice Hussein davanti alla moschea-garage di viale Jenner. Ma il loro sogno è farlo in una vera moschea «un luogo dove stare con i nostri fratelli, con la nostra comunità».
Lo sanno anche loro che questa sistemazione non è più sostenibile. Mohammed viene dal Marocco, e non parla ancora bene italiano, però sa farsi capire: «Loro dicono che disturbiamo», dove loro sono i residenti di viale Jenner, ma potrebbero essere anche i comitati di cittadini e commercianti della zona Fiera, quella del Vigorelli. «Noi vogliamo una nostra moschea - dice - il governo deve darcela. Dove? Loro comandano, loro decidono».
Però non è vero che una soluzione vale l’altra. Hesham è egiziano. Nel suo Paese era più facile per lui, perché il venerdì non lavorava. È abbastanza esperto di cose italiane per sapere che si tratta di un terreno minato: «Io non voglio dire che l’Italia deve cambiare le sue leggi e le sue abitudini per noi - precisa subito - ma noi abbiamo solo un’ora e mezzo per fare il nostro dovere di musulmani il venerdì, nella pausa pranzo». Pregare è l’unica cosa davvero importante - dicono - ma non vuol dire che il luogo di questa preghiera sia indifferente. Non è vero, insomma, che un posto vale l’altro.
Rho-Pero, per esempio, la soluzione che hanno proposto nel Consiglio di zona 8 e che anche l’ex sindaco Gabriele Albertini ha suggerito, a molti di loro non sta affatto bene: «Non possiamo andare lontano - dice un altro - come possiamo andare e pregare e tornare in tempo a lavoro?».
Hesham ha lavorato per anni in un albergo di lusso, con soddisfazione garantisce di aver incontrato tutti i vip della nostra tv, e gli sportivi: «Noi non creiamo problemi - assicura - tanti sono delinquenti fra i musulmani, ma tanti anche fra i cristiani o gli altri. È un compito che spetta al ministro dell’Interno e alla sua polizia, quello di prendere i delinquenti. Siamo contenti noi per primi se lo fa. Poi li metta in galera o li rimandi nei loro Paesi».
Hussein ha studiato in una scuola italiana, tanto che oggi usa con disinvoltura il verbo dedurre. Deduce che ci siano problemi anche al Vigorelli: «Non cambia niente, in viale Jenner o lì. Perché si deve dire la verità su noi musulmani, la verità non fa male». Sta tenendo un piccolo «comizio» davanti a un gruppetto di connazionali. Sono somali. La sua «verità» è questa: «Noi siamo gente pacifica, veniamo in moschea per pregare, poi ognuno va per la sua strada, a lavorare».

Alì gli dà man forte: «Se sbagliano gli imam, se istigano a fare cose sbagliate, devono pagare anche loro. Le autorità italiane facciano il loro dovere». «È un problema di cultura - commenta amaro Haime - l’Islam fa paura».

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