«Voglio un altro disco con la Vanoni»

L a voglia e La pazzia 34 anni dopo. Antonio Pecci, in arte Toquinho, torna a Milano con il cuore pieno di saudade ma anche con un’idea: rimettere assieme il sodalizio con Ornella Vanoni che partorì l’indimenticabile disco a tre con il grande poeta Vinicius de Moraes. «Ho incontrato Ornella e ne stiamo parlando, abbiamo già in mente una tourneé assieme» dice l’artista brasiliano che oggi sarà sul palco del Latinamericando accanto alla cantante Badi Assad.
Da quell’irripetibile connubio artistico Italia-Brasile è passato tanto tempo. Riuscirete a ricreare la magìa?
«Io penso che bisogna guardare al passato per vivere il presente e progettare il futuro. Quella di allora fu un’esperienza unica il cui merito, devo sottolinearlo, va soprattutto al produttore Sergio Bardotti che era un poeta e un grande conoscitore della cultura brasiliana. Fu lui a farci incontrare e a curare il disco nei minimi dettagli. Un album che è tuttora in catalogo 34 anni dopo...»
Già, brani di grande pathos come «Samba della rosa», «Senza paura», «Un altro addio». Lei, Ornella e Vinicius, sembrava una festa tra amici.
«Ma in fondo lo era. Siamo stati tutti insieme per venti giorni nella casa romana di Ornella sull’Appia antica e abbiamo impiegato quasi un mese prima di fare la prima registrazione. E poi c’è un’altra cosa»
Che cosa?
«Io e Ornella eravamo innamorati, e tra di noi si era instaurata una forte intimità che trasuda nelle atmosfere del disco. Insomma non è stata, come spesso accade, la collaborazione occasionale tra un brasiliano appena arrivato e una cantante italiana. Il nostro è stato molto più che un lavoro».
E col poeta Vinicius com’era il rapporto?
«Era un’amicizia profonda di cui la musica era soltanto la conseguenza. Insieme godevamo del piacere di vivere la vita e di scrivere canzoni, ma quello che contava era divertirci in quello che facevamo, una regola che per me vale ancora adesso. Sul palco parlo molto di lui anche perchè quest’anno è il trentennale della sua morte».
Con Vinicius ha inciso ben 25 dischi. I brani nascevano dalle musiche di Toquinho o dalle poesie di lui?
«Nel 90 per cento dei casi veniva prima la musica. Quando tiravo fuori un motivo interessante con la chitarra lo facevo sentire a Vinicius che a volte se lo registrava e lo riascoltava più volte fino a che nascevano le parole. Ma in realtà la nostra grande avventura nacque da una sua poesia».
Come andò?
«Avevo solo 22 anni e lui era già un poeta conosciuto a livello internazionale. Io suonavo e volevo conquistarmi la sua fiducia ad ogni costo. Così una volta a Bahia gli rubai una poesia».
Cosa?
«Sì, allora non c’erano i computer e Vinicius aveva scritto a macchina “Tarde em Itapuà“ che voleva spedire al compositore Dorival Caymmi.

Io presi il testo e partii per San Paolo dove per una settimana mi impegnai a musicarlo. Al mio ritorno incontrai il poeta e gli confessai tutto».
E lui?
«Si arrabbiò moltissimo ma riuscii ugualmente a fargli ascoltare il brano che avevo composto. Grazie a Dio gli piacque e addio Dorival...».

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