«A volte bisogna saper perdere»

«A volte bisogna saper perdere»

Sta per partire per l’Aconcagua, la vetta più alta delle Ande, settemila metri meno tre passi, con una spedizione del Cai Ule di Genova e di Sestri Ponente: Armando Antola (capospedizione, con Alessandro Bianchi e Mauro Mazzetti) ha l’entusiasmo del ragazzino, anche se ha passato i 50 e ha già festeggiato in vetta a due colossi himalayani, il Manaslu, quota 8163, e il Gasherbrum II, 8035. Ma da qui a dire che una scalata, per lui, è come fare una scampagnata ce ne corre. «Io, genovese, ho iniziato a confrontarmi con la montagna dalle nostre parti - spiega -. Qui è piacevole anche fare semplici escursioni, per allenamento o per diletto. Ci sono tanti posti belli, purché non si prendano mai sottogamba, soprattutto d’inverno, quando l’Appennino diventa un ambiente particolarmente severo». Dall’Aiona agli Ottomila, insomma, con lo stesso rigore e la stessa coerenza di comportamento. Senza la paura di dover raccontare, poi, di una sconfitta anziché di una conquista. «Ma quale conquista. È la montagna che conquista noi» scandisce Antola. E aggiunge: «È successo sul Kongur Peak, 7719 metri, nel Pamir cinese. Con i miei compagni avevo tracciato una via nuova, è finita nel documentario “La montagna inafferrabile“ di Franco Benvenuto.

Dunque: dovevamo salire un’altra vetta, invece ci siamo fermati a tre quarti della scalata. Una scelta serena. Dietro front, proseguire era troppo pericoloso». Conclude con una riflessione: «Andare in montagna è fantastico, ma ancora più fantastico è andarci da vecchi».

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