Al voto, le sorti del Cav nelle mani del popolo

Nel nome del popolo sovrano, andiamo alle urne. La partita ormai è chiara, al di là dei nomi: oligarchie contro sovranità popolare. Un blocco di potere, lungo e articolato come un treno, composto di svariati vagoni, vorrebbe lanciare dal treno in corsa il governo in carica senza fermarsi in stazione e lasciare scendere e salire i passeggeri. Questo treno coincide con la partitocrazia, ma nei vagoni di prima classe c’è pure la carrozza giudiziaria, la carrozza editoriale-culturale e la carrozza dei poteri economici. La destinazione di questo treno è ignota, perché ognuno ha una sua meta; ma il collante che tiene insieme questa compagnia di ventura è l’idea di buttare via Berlusconi, ma in corsa, senza mai fermarsi. Chi si oppone a cambiare il conducente del treno in corsa, senza fermata elettorale, è additato al pubblico disprezzo come populista. Eccoli, i populisti. Berlusconi in testa, naturalmente. Ma anche Bossi. Ma anche Di Pietro. Ma anche Vendola. Sono quelli che per ragioni diverse credono al primato del popolo sovrano.
Vendola, col suo candidato Pisapia, ha sconfitto ancora una volta alle primarie l’apparato partitocratico del Pd. Accadde già in Puglia, accade a Milano.

Nichi non è entusiasta del ribaltone di Fini e di un’alleanza con lui; preferisce scommettere sul popolo di sinistra. Di Pietro chiede pure lui elezioni anticipate. Sarà perché sa che il suo partito perde la sua ragione sociale se buttano Berlusconi, sarà perché è populista. E Bossi sa che le urne non possono che rafforzare la Lega, movimento popolano prima che populista. Certo, non si può governare un Paese contro le classi di potere, ma quando le classi di potere si schierano contro il popolo sovrano, bisogna scegliere. E poi, magari, cercare un’intesa con la parte più ragionevole di quel blocco di potere. Chiamatelo populismo, ma se l’alternativa è l’oligarchia, meglio il populismo (che però va reso efficace, selettivo oltre che elettivo, meritocratico e comunitario, rivolto cioè alla testa e al cuore e non solo alla pancia). I cittadini tornano sovrani se una minoranza decisiva rompe il patto con gli elettori e cambia versante, rendendo ingovernabile l’Italia, o governabile in senso inverso rispetto all’indicazione espressa dagli elettori.
Qualcuno insiste dicendo che non è il popolo sovrano, ma è la legge elettorale a favorire Berlusconi e Bossi. A parte l’elementare considerazione che comunque il partito di Berlusconi prende più voti di tutti i partiti in campo, si sa che in democrazia la maggioranza non è quasi mai assoluta. Nella più grande democrazia occidentale, gli Stati Uniti, il presidente è eletto dal popolo di solito con poco più di un quarto degli elettori, i restanti tre quarti del Paese sono divisi tra astensione e voto al concorrente.
Chi dice che Berlusconi ha perso la maggioranza del Paese non ha che da provare la sua affermazione su strada, lasciando che sia il popolo sovrano a dirlo. Ma il pacco che vogliono preparare a Berlusconi è di transitare da un governo tecnico, meglio se guidato da un berlusconiano che acconsente, per varare una nuova legge elettorale. La cosa sporca, che fa davvero schifo, è la motivazione con cui spiegano alla gente di voler riformare la legge elettorale. Dicono di volerlo fare per due motivi santi: restituire agli italiani il diritto di scegliere i propri candidati, quando loro sono stati coautori della vergognosa cancellazione del diritto di indicare il proprio candidato.

E poi dicono: vogliamo evitare che una forza politica possa andare al governo senza avere il 50% più uno dei consensi. Questo vuol dire tornare all’Italia ingovernabile e partitocratica della Prima Repubblica, ai governicchi di durata breve e di fiato corto, esposti ai ricatti di tutti gli aghetti della bilancia e soprattutto deboli per consentire ai poteri forti di far la parte del leone. Il premio di maggioranza, invece, permette a una democrazia di essere anche efficace, cioè permette di governare e di avere una maggioranza vera, salvo tradimenti della volontà elettorale (le leggi non possono disporre della volontà degli uomini, però possono scaricare sulle loro spalle le responsabilità dei loro atti). Con un governo solido e duraturo, si dovrebbe poi rimetter mano alla riforma elettorale, ma nel senso di portare a coerenza il maggioritario, evitando la differenza tra premi di maggioranza tra Camera e Senato, e reintroducendo l’indicazione del candidato, col voto di preferenza o almeno il collegio uninominale. Meglio ancora sarebbe passare dal premierato implicito della legge attuale, con l’indicazione del premier, all’elezione diretta del capo del governo col mandato di cinque anni.
Dobbiamo salvare la governabilità e l’alternanza tra due poli. E per non sacrificare la rappresentanza, dovremmo magari prevedere anche quello che in alcune democrazie si chiama diritto di tribuna, cioè una quota di seggi non determinanti, riservati a rappresentare in Parlamento anche forze minori e outsider non entrati nelle due coalizioni di competitori, ma che hanno una rispettabile fetta di elettori e magari una lunga storia alle spalle. Però ora si è rotto il patto con gli elettori che sosteneva questo governo con questo premier. E allora non resta che andare al voto subito dopo la Finanziaria, lasciando al governo uscito dalle urne di condurci alle urne.

Chiamatelo populismo, io lo chiamerei semplicemente democrazia.

P.S. Ma come farà il governo ad andare avanti ora che ha perso due statisti del calibro di Ronchi e Urso? L’assenza dei due statisti finiani lascia un grande vuoto nel governo, quasi quanto la loro presenza.

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