Il «Wall Street Journal» fa i suoi stress test e il mercato si spaventa

Il Wall Street Journal dopo un paio di mesi si è accorto che non basta un mantello, una calzamaglia e un’autocertificazione per fare un super eroe e, con un lungo articolo, ha criticato i famosi «stress test» con cui a luglio l’Europa aveva proclamato la solidità delle sue banche.
Il quotidiano finanziario americano, in pratica, afferma che molti istituti di credito (in particolare vengono citate l’inglese Barclays e la francese Crédit Agricole) hanno nascosto delle posizioni in titoli, «alleggerendo» i propri portafogli e falsando i risultati dei test.
Se non si tratta della scoperta dell’acqua calda ci siamo molto vicini, ma tanto basta in questi periodi, dove le passate ferite dei mercati bruciano ancora, per provocare qualche ribasso dei listini e un ulteriore allargamento dei parametri di rischio dei titoli di Stato europei (ieri gli indici del Vecchio continente hanno chiuso in calo di circa l’1% appesantiti proprio dai titoli bancari). Il fatto è che tutti sapevano che quel test fosse una semplice vetrina per fotografare la situazione senza allarmare nessuno: basti pensare che alle banche era stata in pratica lasciata la possibilità di scegliere quali titoli mettere nel portafoglio da «testare» e quali considerare «strategici» e quindi esenti da oscillazioni di mercato. Una specie di versione finanziaria del famigerato «si faccia una domanda e si dia una risposta», utile quindi per discutere, molto meno per analizzare dettagliatamente i rischi.
La verità, però, è che tutto l’approccio usato per l’analisi del rischio delle banche, nasconde un inganno di fondo. La crisi finanziaria ci ha insegnato un concetto semplice ma fondamentale: non si può «fallire un pochino», il sistema mondiale è talmente interconnesso che o si regge (tutto) o cade.
La banca è un piccolo guscio che intermedia grandi quantità di denaro: il valore di questo denaro intermediato deriva dai prezzi di mercato dei titoli di debito e questi prezzi dipendono, a loro volta, dalla fiducia dei risparmiatori e degli investitori.
Rafforzare il capitale degli istituti di credito è utile, ma sempre di un guscio si tratta: se una banca o uno Stato di un ambiente integrato come l’Eurozona smettesse di onorare i suoi impegni tale «buco» si trasferirebbe agli altri istituti che hanno relazioni con la parte inadempiente, con un effetto domino che non risparmierebbe nessuno. Per questo un test basato sulle oscillazioni dei titoli del debito sovrano ha poco senso, infatti se fallissero gli Stati la stabilità delle banche sarebbe un’utopia, in pratica è un po’ come preoccuparsi della tenuta del timone in caso di naufragio della nave.


Il vero punto che è stato per il momento messo sotto il tappeto è se esista o meno la volontà della Bce di monetizzare il debito (in sostanza stampando soldi) anche a rischio di creare inflazione, togliendo dubbi sulla restituzione del debito sovrano, ma con il relativo pericolo che i Paesi «indisciplinati» ne approfittino. La discussione sulle Autorità di controllo tenuta all’Ecofin di ieri prepara la strada per affrontare questo nodo: il resto, stress test compresi, rappresenta solo il colore del guscio dell’uovo.

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