Weekend in galleria tra arte di moda e "vecchie glorie"

Trentasette inaugurazioni di contemporanea Pittura, installazioni e un tributo agli anni ’70

Start si gira. Nel senso che l’arte contemporanea, come giustamente sottolineò la critica Angela Vettese, si fa più con le gambe che con la testa. A Milano le gallerie d’arte sono centinaia ma tra quelle che inaugurano in contemporanea questo fine settimana c’è molta «serie A», e il giro vale la pena considerando che i mercanti sono per tradizione il vero fulcro della produzione artistica milanese. Anche se di milanese c’è esposto ben poco nelle gallerie, che anche quando partecipano alle grandi fiere internazionali come quella di Basilea o quelle di Londra e Parigi che sono alle porte, preferiscono puntare su scelte esterofile. «D’altra parte gli stranieri fanno un’arte più matura rispetto ai loro colleghi italiani» ha dichiarato in questi giorni il guru di Lambrate Massimo De Carlo. Sarà vero? Forse sì, anche se non certo per colpa degli artisti, quanto di quelle istituzioni pubbliche latitanti sul territorio e che preferiscono spesso storicizzare gli amici degli amici.
Prendiamo Davide La Rocca, uno dei pochi milanesi (d’adozione perchè è siculo) che ha inaugurato con una personale alla Galleria Corsoveneziaotto. Si tratta di un artista di altissimo livello che utilizza la pittura con una cifra raffinata e assolutamente contemporanea rispetto a tanti pittori che, con la scusa del «ritorno all’ordine», propongono una figurazione morta e sepolta negli anni Novanta. La Rocca è artista che vive e lavora nel sottobosco milanese e la sua pittura -se così si può ancora definire- opera sulla decostruzione dell’immagine attraverso una maglia fittissima di segni. A scoprirlo fu il decano Enzo Cannaviello che già 10 anni fa si lamentava di lui dicendo che per fare un quadro ci impiegava sei mesi. E a guardare i suoi «Ritratti», si capisce bene il perchè. Ora il fatto è che questo bravo artista italiano è, spiace per lui, quasi completamente sconosciuto al grande pubblico e forse continuerà ad esserlo se non emigra o non trova una galleria up to date, nel bene e nel male. Per il resto, anche quest’anno, le gallerie di Start espongono un’infiorata di artisti stranieri più o meno a la page o comunque quasi sempre già ben quotati. Anche se non mancano eccezioni, come quella dell’emergente bergamasco Matteo Rubbi, figlio di Brera, che ha la fortuna di esporre le sue foto e i suoi video allo Studio Guenzani di via Eustachi, una delle gallerie contemporanee più potenti della città. Auguri. E mentre i giovani galleristi milanesi si divertono ancora a «provocare», come Riccardo Crespi che presenta le inquietanti installazioni del giovane israeliano Gal Weinstein, i più previdenti «vecchi» preferiscono aprire i loro magazzini e mettere in mostra i gioielli di famiglia o qualche sicura retrospettiva. Negli spazi di Cannaviello in via Stoppani, ad esempio, si celebra la stagione concettuale dei gloriosi anni Settanta, un esuberante e al contempo nostalgico vortice di testimonianze di quel periodo, contrassegnato soprattutto dal trionfo del mezzo fotografico, eletto a simbolo della rivoluzione artistico culturale. Sulle pareti della galleria, scorrono opere spesso testimonianza di azioni e performance, da Acconci a Beuys, da Brus a Garutti a Nitsch.

Un altro «barone», Giorgio Marconi, inaugura invece un’antologica di Bruno Di Bello, napoletano classe 1938, ripercorrendo l’intero iter di questo artista dalle prime esperienze di incrocio tra pittura e fotografia degli anni ’60, alle opere che lo hanno visto vicino alla Mec Art milanese, ai grandi quadri dove fonde scrittura e fotografia, fino alle più recenti astrazioni digitali. Mimmo Scognamiglio a corso di Porta Nuova, inaugura una mostra del fotografo newyorkese Spencer Tunick che, tra i suoi paesaggi di carne umana, mise a nudo anche i collezionisti milanesi e non solo in senso figurato.

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