«Ogni volta che vengo a Milano mi sorprendo di come mi trovo bene in questa città. Sono nata a Tokyo, non potrei mai vivere fuori da una metropoli e per me stare qui è proprio come stare a casa. Tuttavia, la gente è davvero diversa: se la si osserva, sembra stia bene e ami divertirsi, che abbia voglia di vivere. Se i giapponesi venissero a Milano sarebbero sorpresi quanto me, ne sono certa». Banana Yoshimoto, la 43enne scrittrice giapponese che debuttò con Kitchen nel 1988 e che oggi è lidolo di intere generazioni di lettori, sarà ospite alla Milanesiana, la manifestazione organizzata dalla Provincia di Milano, al Teatro Dal Verme alle 21 insieme a Vladimir Luxuria e Luciano Emmer in una serata dal titolo «LAssoluto femmineo», in occasione della ripubblicazione di un saggio che la riguarda, Il mondo di Banana Yoshimoto, scritto da Giorgio Amitrano (Feltrinelli).
È la quinta, felice visita a Milano. Perché sostiene che i cittadini di Tokyo sono diversi?
«Nelle metropoli giapponesi non si è felici affatto: i giovani e gli adulti sono cupi, passeggiano per le strade con volti tristi. Non è un buon momento per il Giappone: il Paese è in una posizione spirituale debole. Se lei cammina per strada, vede che ciascuno vive per se stesso e tira avanti per inerzia».
Eppure lei vive in Giappone e sta crescendo un bimbo nel suo Paese...
«Credo che presto mi staccherò dal Giappone. Mio figlio frequenta già una scuola di lingua straniera».
Eppure le donne si stanno emancipando in Giappone. Sono più indipendenti, persino aggressive.
«Sono solo una piccola parte. La maggioranza le guarda e dice: come faccio per diventare una come loro?».
Che cosa pensa del milione di adolescenti giapponesi che vivono reclusi in casa, comunicando solo con il computer?
«Cè un lato meraviglioso e uno inquietante. Questi ragazzi, la maggior parte dei miei lettori, mi scrivono lunghe lettere ogni giorno, ma poi non escono nemmeno per venire alle presentazioni dei miei libri, provano ansia al pensiero di darmi la mano. Tuttavia sono capaci di grande concentrazione e in questo li ammiro».
Ha sempre saputo che avrebbe fatto la scrittrice?
«Diventare scrittori è una missione, non è un dono. I veri scrittori hanno un tratto in comune: lessersi trovati nella situazione di dover scegliere tra la scrittura e il suicidio».
Ha mai pensato di scrivere lei stessa un thriller o un horror?
«Prima o poi lo farò.
Ora che cosa sta scrivendo?
«Due romanzi insieme: uno in cui la protagonista ha quarantanni, legato alle isole Hawaii, e uno in cui lio narrante è un giovane uomo».
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