La zitella di Robertson sposa una giusta causa

Insicura, appartata e perseguitata dalla sorte, una donna dalla Grande depressione al Watergate

La zitella di Robertson sposa una giusta causa

Poiché Don Robertson è sempre stato molto generoso con i suoi lettori, regalando loro migliaia e migliaia di pagine in cui specchiarsi o vedere le immagini riflesse di chi ci sta intorno, vuole esserlo anche con quella sottospecie di lettore che è il lettore recensore, uno che viene pagato per parlare di libri che gli sono stati regalati. Il vecchio Don gli viene incontro, lo conforta confermando ciò che il lettore recensore ha colto (o ritenuto di cogliere) della sua poetica. E scrive: «Non ci vogliono certo le Tavole della Legge per capire che una vita umana è semplicemente un accumulo di prove. Né occorre essere una sorta di colosso intellettuale per comprendere intersezioni, collisioni, sequenze, atteggiamenti, incidenti, reazioni e coincidenze. Ovunque ci sono storie - e queste o si intrecciano o si scontrano -, ma non è mai sufficiente esaminare una sola storia. Le altre storie si intromettono sempre; fanno parte delle prove accumulate che definiscono la vita umana originariamente indagata».

Nel romanzo del 1977 Miss Margaret Ridpath e lo smantellamento dell'universo (Nutrimenti, pagg. 538, euro 22, traduzione di Nicola Manuppelli, da oggi in libreria) la «vita umana originariamente indagata» è proprio quella di Miss Margaret Ridpath, della quale possiamo, a mo' di introduzione, fornire il seguente profilo. Nata nel 1911; figlia di un veterinario e di una più o meno casalinga; un fratello maggiore che sarà «il primo uomo di Paradise Falls a morire nella Seconda guerra mondiale»; due sorelle minori più o meno felicemente sposate; vergine fino ai quarant'anni; repubblicana; presbiteriana; presbite; astemia; insofferente a: api, cani che abbaiano, canoe, rafano; si considera una persona di «carta stagnola» in un mondo abitato da persone di «ferro»; mette l'«ordine» e il «decoro» su tutto. Nell'immaginaria Paradise Falls, ridente e piangente cittadina dell'Ohio che è la capitale del mondo di Don Robertson (Cleveland, 21 marzo 1929 - 21 marzo 1999) Margaret da ragazzina, da giovane donna e ancora da ottimamente conservata sessantenne, spicca per spirito di sacrificio nel badare alla madre fuori di testa Inez, per efficienza sul lavoro ai grandi magazzini Steinfelder, per la forza della sua inguaribile insicurezza.

La maggiore età, ai canonici 21 anni, la raggiunge quando sua mamma le spiega come e perché suo padre morì, ovvero per colpa di quella «vacca» di Dorothy. Ed ecco la prima delle triadi che costellano e compongono la narrazione: Inez, John, Dorothy. Poi c'è quella formata da Margaret e gli unici suoi uomini in senso carnale, il dentista Irv e George, il vedovo, consolabilissimo, di Ruth; e quella con Margaret e le due governanti di casa, prima Wanda, doppiamente vedova e doppiamente inconsolabile, nella sua «ossuta grazia» e poi Pauline, l'unica creatura più fragile di Margaret, perché fatta non di «carta stagnola», ma di «segatura» (e «il ferro sta alla stagnola come la stagnola sta alla segatura»), anch'essa in qualche modo vedova di un tale Lloyd, marchiato dall'opinione pubblica come «checca». Potremmo continuare, ma ora è tempo di fare i conti con «lo smantellamento dell'universo», e con la resistenza di Margaret di fronte allo smantellamento dell'universo.

Perché negli Stati Uniti gli anni Venti sono passati ascoltando l'eco lontana della Prima guerra mondiale; i Trenta spolverandosi dai vestiti i calcinacci della Grande depressione; i Quaranta sgomitando nella ridda planetaria del secondo conflitto mondiale; i Cinquanta tornando a respirare a pieni polmoni, visto che la maschera antigas la si usava in Corea, causa napalm; i Sessanta sculacciando idealmente i beat. E così, quando molti dei nostri memorabili compagni di viaggio con i quali abbiamo attraversato le pagine di Robertson ci hanno lasciato, ecco i Settanta. A segnare il passaggio da un mondo che bene o male stava ancora in piedi a un mondo in procinto di essere smantellato è, sotto traccia, il passaggio da «La magnificenza del dolore», un delirante libello sull'accettazione della morte sotto forma di amore e il respingimento della vita che è odio diventato il livre de chevet di Wanda, e nientemeno che il «Testamento» di un mafioso.

Siamo giunti a pagina 393, e alle spalle abbiamo, fra l'altro, le clamorose prestazioni di Margaret nei tornei di bridge; i monologhi in cui rifulge la lucida follia di sua madre; due storie d'amore che da sole valgono il prezzo del biglietto, fra l'«androgino» Lloyd e Pauline e fra il woodyalleniano dentista Irv e Margaret. Ma qui, a pagina 393, cambia tutto, compresi la lingua e il registro narrativo di Robertson. Entra infatti in scena Lee Pike. Classe 1954, ragazzino viziato e complessato, figlio di un ostetrico e ginecologo vizioso e di una madre in bilico fra pulsioni incestuose e lesbismi assortiti, si assegna il ruolo (secondo lui ovviamente salvifico) di angelo della morte. Butto lì tre tracce: in ordine cronologico Arancia meccanica, Non è un paese per vecchi e Suburbicon, ovvero violenza, avidità, abiezione. Lee, con la sua testa a forma di palla da football piena di libri letti e marciti, dopo essersi esercitato con la bassa criminalità alza il livello ispirandosi al suo idolo Arthur Flegenheimer, un delinquente realmente esistito, esponente di punta della mafia ebraica negli anni Venti e Trenta.

Ma, direte, in tutto questo che cosa c'entra la nostra adorabile, encomiabile, formidabile e indimenticabile Margaret? C'entra, perché le «intersezioni, collisioni, sequenze, atteggiamenti, incidenti, reazioni e coincidenze» di cui parla l'autore nel passo citato sopra, causano il corto circuito finale.

E il caso (anzi, Lee) vuole che quel pomeriggio di un giorno da cani cada a cinque anni esatti dall'eccidio di Cielo Drive e nel giorno stesso in cui il presidente Nixon dà le dimissioni. Serve qualcuno che metta «ordine» e si comporti con «decoro».

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