Ha ragione chi osserva come sulla legge sull'aborto si agitino polemiche spesso strumentali, che nascondono scopi elettorali. La discussione talvolta disorienta, perché ingenera confusione tra proposte di modifica alla legge esistente e ragionamenti sulle modalità con le quali essa viene applicata. La proposta di inserire dei volontari nei consultori è un buon esempio di questa confusione. In realtà, la legge 194 già prevede questa possibilità. Lo dice l'articolo 2: i consultori possono avvalersi della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni di volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita.
Un primo punto dovrebbe quindi essere chiarito: inserire volontari nei consultori non significa né modificare la legge, né immaginare inammissibili «picchettaggi» anti-abortisti contro una norma statale. Significa invece applicare ciò che essa prevede.
Semmai, i problemi concernono le modalità di questa collaborazione volontaria, l'individuazione delle associazioni di volontariato da inserire nei consultori e l'indicazione dei confini della loro attività. Su questi aspetti dovrebbe concentrarsi la discussione. Pare semplicistico dire: inseriamo nei consultori volontari antiabortisti, che convincano la donna a non compiere questa scelta. Quando la scelta di abortire sia dovuta a condizioni economiche, sociali o familiari, i consultori già hanno per legge il compito di esaminare con la donna (e con il padre del concepito, il cui ruolo troppo spesso viene dimenticato) possibili soluzioni alternative, e di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero all'aborto. Inoltre, si tratta di rispettare la volontà, la dignità e la riservatezza della donna (e dello stesso padre del concepito).
La questione davvero delicata, che l'inserimento di volontari nei consultori pone, diventa allora l'organizzazione di un'attività di convincimento antiabortista, a tutela del diritto alla vita, che non sia lesiva dei diritti della donna e della sua libertà di coscienza.
La stessa legge 194 dichiara di non voler essere uno strumento di controllo e limitazione delle nascite. Essa prova complessivamente a contemperare e bilanciare il diritto alla salute (anche psichica) della donna e il diritto alla vita del concepito, cercando di impedire che l'aborto venga procurato senza seri accertamenti sulle ragioni che spingono la donna a interrompere la gravidanza. Lontana da posizioni ideologico-astratte, e piuttosto incentrata su interventi concreti, la legge 194 prevede che la donna sia messa in condizioni di far valere i suoi diritti, ma anche che il consultorio debba promuovere ogni opportuno intervento di aiuto, sia durante la gravidanza che dopo il parto, sostenendo i casi di «maternità difficile».
Le proposte di inserimento dei volontari antiabortisti sembrano invece puntare su un'attività di consulenza che «convinca alla vita» essenzialmente su basi etico-religiose. Questo è il punto: ci si deve chiedere se questo aiuto alla vita, che la legge dello Stato fornisce attraverso l'opera dei consultori, possa diventare anche un tentativo di convincimento etico-religioso.
Il pensiero liberale deve farsi carico dei diritti di tutti i soggetti coinvolti in vicende come questa, a cominciare da quelli più deboli e indifesi, come il concepito. Ma la tutela della vita fin dal suo inizio, che tutti vorremmo vedere realizzata, ha più bisogno di interventi e sostegni concreti, che non di convincimenti morali.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.