Cultura e Spettacoli

Addio a Peter Orlovsky, il poeta-ganimede amato da Ginsberg

Negli anni cinquanta era diventato famoso
soprattutto per la sua relazione scandalosa
con il guru della Beat generation.
Ma scriveva versi davvero appassionati

Matteo Sacchi
All'origine c'è un quadro con un uomo nudo e bellissimo, ai suoi piedi - chissà perché - un mazzo di cipolle. Il quadro stava nell'appartamento del pittore Robert La Vigne, l'anno era il 1954, l'uomo Peter Orlovsky. Allen Ginsberg, che si apprestava a diventare uno dei guru della Beat generation, lo vide e si innamorò. Cercò Orlovsky e nel giro di un anno i due pronunciarono i loro «voti matrimoniali» impegnandosi a stare «sempre insieme sino al momento di andare in paradiso». Nacque così un sodalizio durato quarant'anni, sino alla morte di Ginsberg e che ha lasciato un'impronta profonda sulla letteratura americana. E i motivi sono tanti: lo scandalo di un amore gay e libertino nato quando essere omosessuali richiedeva ancora coraggio; la spinta propulsiva che le mattane di Orlovsky (passava in un secondo dalla gioia alla depressione più nera) hanno dato a Ginsberg; e per finire il suo ruolo di segretario di Ginsberg che ha fatto in modo che il giovane Peter si trovasse al centro della rete culturale della Beat generation.
Ora però Orlovsky non c'è più, è morto domenica sera nel Vermont all'età di 76 anni per un tumore ai polmoni. E sarebbe ingiusto ricordarlo solo per il suo essere stato la musa di Ginsberg, il suo bellissimo Ganimede. Le sue raccolte poetiche come Clean Asshole Poems & Smiling Vegetable Songs e Lepers Cry non erano solo arte riflessa. Erano piene di una vena onirica e surreale, a volte bucolica più spesso triste e sgangherata.

Ecco tre versi della sua poesia Vertigine, forse come epitaffio non gli dispiacerebbero: «Ciò di cui avevo bisogno era inchiostro per trasformarmi in un ragazzo nero/ Cammino per le strade cercando oggi gente che mi accarezzi/ Ho cantato sugli ascensori credendo di raggiungere il paradiso».

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