Cronaca locale

Affitti a prova di spacciatori e lucciole: «Così ho cacciato i criminali dal palazzo» La soluzione di un amministratore dell’ex residence Jolly Inn che ha inserito nei contratti di locazione clausole antidegrado da far sottoscrivere agli inquilini

C’è un condominio a Milano dove per poter ricevere un alloggio in affitto si devono sottoscrivere determinate condizioni. La prima dice che «è vietata ogni attività di meretricio, spaccio, vendita (alcolici compresi ndr) o altro uso che non sia di sola personale abitazione per due sole persone». La seconda precisa che «è vietato sublocare, modificare la destinazione d’uso del locale, il numero degli inquilini». Infine l’ultimo punto, il più importante: «l’infrazione a una qualsiasi delle norme sopracitate darà al locatore il diritto di chiedere l’immediata risoluzione del contratto a danno e spese del conduttore stesso». Ecco le regole del palazzo di via Cavezzali 11, una traversa di via Padova, conosciuto un tempo come il «condominio della disperazione», delle prostitute e degli spacciatori. L’ex residence Jolly Inn dove nel 2006 è morto un marocchino e ci sono volute due retate delle forze dell’ordine per sgomberare cento appartamenti dagli abusivi che avevano devastato un piano intero, il settimo. Ecco le norme scritte nero su bianco sui contratti di affitto firmati dal dottore Vittorio Bortot, amministratore delle società proprietarie del 40% degli immobili di via Cavezzali, che ha deciso di applicare, per rivalutarli, negli appartamenti di sua competenza. Settantasette più tredici in gestione su un totale di 190 e tre attici, suddivisi tra il primo, il secondo, il terzo e il sesto piano. «Qui vige la mia legge - dice mentre indica sulla piantina dell’immobile le sue proprietà -. Sugli altri cerco di far valere quella del condominio. Sono peggio di Nerone e se una delle due parti lo rompe, si va in tribunale». Giura di essere l’unico locatore a inserire queste clausole e ammette che dovrebbero esserci dappertutto. Almeno dove si ha a che fare con un certo tipo di persone, quelle che cercano di mandar via ancora adesso. «Stranieri e anche un italiano. Sono in cinque a creare problemi. Prima c’era una prevalenza di marocchini, oggi ce ne sono molti di meno. Qui è arrivata la fuffa dei vari paesi».
Guai però a dire che il suo edificio è quello di qualche anno fa, dei trans, delle prostitute e degli spacciatori. «Siamo in grandissima ripresa e abbiamo fatto di tutto per sistemarlo», ribatte Bortot. Continuando la ristrutturazione degli appartamenti, mettendo un sistema di telecamere con tanto di custode notturno e vigilante esterno per arginare i danni della precedente gestione «catastrofica» che ha messo dentro solo «gentaglia». «In quel modo perdi il 90 per cento del valore. Si rovina l’immagine del palazzo e non vendi più niente: è una danno patrimoniale. Che la legge non prevede». Conosce bene lui le regole del mercato, perché oltre ad essere amministratore, il dottor Bortot è anche agente immobiliare. Il sesto piano è tutto suo, fresco di ristrutturazione e ne va così fiero. Prende un mazzo di chiavi dalla bacheca e apre una delle porte blindate nel corridoio. «Vede come si può stare bene anche in 20 mq? - dice mostrando un monolocale -. Qui decido io quante persone ci vanno ad abitare. Chiedo i documenti di tutti e devono essere in regola». Di rischiare di non avere nemmeno la cauzione dell’affitto, non ci pensa proprio. «Sono un agente immobiliare, non un benefattore della Caritas».
Una rampa di scale e si sale al settimo piano, quello devastato tre anni fa. Per entrare ci vogliono le chiavi che hanno solo Bortot e un altro proprietario. Non ci abita nessuno, gli appartamenti sono stati chiusi con delle lastre di ferro; nemmeno l’ascensore si ferma più qui: hanno tolto dalla pulsantiera il numero sette. Per terra ci sono ancora gli indumenti degli ultimi abusivi che sono venuti a dormirci, una coperta, una maglietta sporca e qualche bottiglia. Poi, nel primo corridoio, l’unica porta blindata con dei segni sopra.

«È uno dei miei e quelle sono delle coltellate - dice il dottor Bortot - perché io sono quello che gli dà fastidio, il cattivo».

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