
"Ormanice!". Il grido della vedetta squarciò l'aria. Il sopracomito Cristoforo Venier volse lo sguardo verso la costa e vide ciò che mai avrebbe voluto: erano proprio le lunghe barche a vela latina dalla chiglia nera e le murate rosse, i colori della morte e del sangue. Piccole e velocissime, le ormanice erano le navi dei pirati uscocchi, i più temuti dell'Adriatico, nemici giurati della Serenissima da quando l'Austria li pagava per assaltare le galee veneziane. Ed erano proprio loro a urlare come ossessi in quel momento, sollevando sopra le teste schiavone, pugnali e accette. Non solo. Prima ancora che il sopracomito potesse impartire un ordine, due colubrine spararono in rapida successione. Le loro palle di ferro finirono appena corte, quasi sfiorando la galea veneziana, perdendosi nel nero dei flutti, ma le quattro ormanice si avvicinavano a una velocità impressionante. "Virate a babordo!", urlò Cristoforo Venier al timoniere. "La nostra unica possibilità è di infilarle con una scarica dei nostri cannoni! Uomini ai pezzi! Sottocomito!".
"Sì, mio signore!", rispose l'ufficiale che sovrintendeva ai rematori. "Fate vogare gli uomini quel tanto che basta per aiutarci a virare!", gridò. "Agli ordini!", fu la risposta. E un istante dopo, il comando venne impartito agli sforzati: "Avete sentito? Coraggio! Datevi da fare!". Erano, costoro, i condannati a vita al remo e perciò incatenati al banco. Nel frattempo, i fanti da mar scesero nei remaggi, precipitandosi ai pezzi e caricando petriere e colubrine per scaricare una salva di proiettili contro le quattro ormanice che filavano dritte contro di loro.
Il resto dell'equipaggio si preparò ad accogliere gli Uscocchi. Gli uomini corsero sul ponte mentre una sventagliata di chiodi e pietre proveniente da una delle navi nemiche spazzava la coperta, falciando alcuni fra loro in un turbine di sangue e urla di disperazione. Gli altri non persero tempo: afferrarono schiavone, pistole e archibugi gridando e bestemmiando. Frattanto, gli uomini ai pezzi caricavano febbrilmente le bocche da fuoco. Sapevano che la vita dipendeva dalla loro rapidità. "Sbrigatevi!", urlò il sopracomito. Era tempo. La prima delle imbarcazioni uscocche stava per speronare la galea veneziana, favorendo l'arrembaggio dei pirati. Fu in quel momento che il primo cannone sparò. Una fiammata seguita da un'esplosione e la palla partì, spezzando in due tronconi l'unico albero dell'ormanica. Immediatamente dopo quella prima deflagrazione, ce ne furono altre cinque in rapida sequenza. Fu l'inferno. Si alzarono fumo e nuvole di schegge, uomini vennero fatti a pezzi, gli arti maciullati dalle esplosioni. Un coro di grida ferine riempì la baia di Carlopago. Ma nemmeno in quel modo, i veneziani riuscirono a fermare gli Uscocchi. "Ci sono addosso!". Senza aggiungere altro, Cristoforo Venier sfoderò la schiavona, stringendola nella destra. Con la sinistra puntò la pistola a ruota, già carica e pronta a sparare. La prima ormanica impattò proprio in quel momento contro la murata della galea. "Duri i banchi!", gridò il sottocomito agli sforzati. Questi ultimi afferrarono le panche alle quali erano incatenati. I fanti da mar, in coperta, si tennero alle sartie e alla murata. Ciononostante, più di qualcuno finì sul ponte a gambe all'aria per via dell'urto formidabile. "Preparatevi a far fuoco!", urlò Cristoforo Venier ai suoi uomini. In un baleno, i fanti da mar si schierarono in duplice fila con gli archibugi puntati.
Un istante più tardi, l'equipaggio pirata della prima barca si scaraventò come un sol uomo sulla coperta della galea. Davanti a tutti stava il loro capo. Ivo Stojan era un uomo colossale: grande quanto un albero maestro, aveva occhi spietati e una barba nera come il peccato. Lo chiamavano il Mangia-Cuori. Ma i fanti da mar non davano gran peso ai soprannomi e attesero con ammirabile sangue freddo l'ordine.
"Fuoco!", urlò il sopracomito, puntando la propria schiavona contro l'accozzaglia variopinta di pirati arrembanti. La doppia scarica d'archibugio illuminò di lampi l'aria umida, i proiettili fischiarono e andarono a sterminare la prima linea d'attacco degli Uscocchi, il fumo degli spari rese acre il respiro, facendo lacrimare gli occhi. Eppure, in quell'inferno, il Mangia-Cuori uscì come un Leviatano urlante, brandendo due pesanti schiavone. Schiantò la sinistra contro un archibugiere della prima linea, uccidendolo all'istante, con la destra aprì il ventre di un fante da mar. I veneziani non ebbero nemmeno il tempo di sparare con le pistole che già gli Uscocchi penetravano fra loro come lame nel burro. Dietro il Mangia-Cuori, infatti, veniva una moltitudine ringhiante, coperta di ferite sanguinanti e rabbia. I veneziani non si persero d'animo. Risposero all'attacco con identica furia. Il sopracomito scaricò la propria pistola, colpendo al petto un nemico mentre tentava di pugnalare un fante da mar alle spalle. Quindi, evitato un fendente, Venier tagliò con la schiavona in orizzontale, aprendo uno squarcio nel collo di un altro pirata. Lo vide cadere ai suoi piedi in una nuvola di sangue. Avanzò. "Ricacciamoli in mare!", urlò ai suoi.
Ora la lotta si concentrava al centro del ponte. Le armi da fuoco risultavano del tutto inutili. Lo scontro si sarebbe deciso nel corpo a corpo. Il capitano uscocco pareva immortale. Malgrado i tagli e le ferite, si muoveva con ancora maggior spavalderia dell'inizio.