Verstappen, un avatar a trecento all'ora in cui convivono Schumi, Lewis e Vettel

Metodico come Michael, meno corretto dell'inglese, precoce come Seb

Verstappen, un avatar a trecento all'ora in cui convivono Schumi, Lewis e Vettel
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Non sono tanti quelli che come lui hanno vinto tre campionati del mondo di fila. E soprattutto nessuno di loro quattro si è fermato lì. Fangio, Schumacher, Vettel e Hamilton hanno ricominciato da tre, allungando le loro strisce vincenti. Max è in buona compagnia. Tra cannibali ci si riconosce probabilmente. Anche se Max con i suoi nuovi compagni ha davvero poco in comune. Nessuno è figlio d'arte come lui che aveva il padre compagno di squadra di Schumacher e la madre campionessa di kart. La sua stanza dei giochi era il box della Benetton e fa tenerezza rivedere le immagini in cui si vede Michael che lo accarezza quando era l'amichetto di suo figlio Mick.

Max è arrivato al terzo titolo a 26 anni, Vettel ci era arrivato un anno prima, ma sia Hamilton che Schumi ci erano arrivati dopo. Fangio è un caso a parte, ma alla sua epoca si cominciava a correre davvero avanti e lui ha vinto il suo terzo titolo a 44 anni, all'età in cui i piloti di oggi (a parte Alonso) sono già in pensione. Max ci sta bene in questa galleria di cannibali. Non sta usurpando nulla, anche se per fare il definitivo salto di qualità dovrebbe comunque provare ad andare a vincere con un'altra squadra. Quando a dominare era Vettel, il suo avversario dell'epoca, Fernando Alonso, diceva che lui stava gareggiando contro Newey e non contro Seb. Un modo di sminuire il rivale che stava collezionando titoli a ripetizione.

In comune con Vettel, oltre alla precocità nel vincere, Max ha proprio questo: i razzi che gli mette a disposizione la Red Bull. Seb poi, lontano dalla Red Bull, è diventato il primo tedesco a emozionarsi come un latino, tanto che Marchionne lo prendeva pure in giro quando lo sentiva cantare Toto Cutugno dopo una vittoria. Max per ora è un ghiacciolo che si scioglie un po' solo tra le braccia di Kelly, una che di mondiali ne aveva già tre in casa grazie a papà Piquet. Quindi con Seb ha in comune solo la precocità e il Dna Red Bull. Con Hamilton il confronto è quasi impossibile. Max non va oltre un volante che sia quello della sua Red Bull o del simulatore che ha in salotto. Al massimo gioca a padel o guida la barca. Hamilton ha mille e un interesse. Mille e una fidanzata, tra quelle ufficiali e quelle attribuite. Per non parlare del look. No, non ci siamo. In pista sanno essere aggressivi tutti e due, con una differenza, Hamilton non è mai stato scorretto (l'incidente di Silverstone non fu totalmente colpa sua), Max ogni tanto ha esagerato tanto che hanno dovuto cambiare la regola sui sorpassi vietando i cambi di direzione per difendersi. Possono avere in comune i modi bruschi con cui ogni tanto si rivolgono alla loro squadra e ai loro ingegneri.

Parlano molto via radio, ma non amano farsi telecomandare. Schumacher era il compagno di papà, l'uomo che probabilmente ha fatto capire a Jos come è fatto e come si comporta un campione. Anche se non lo ha mai confessato è chiaro che abbia plasmato suo figlio a immagine e somiglianza di Schumi. Gli ha inculcato lo stesso rigore e la stessa determinazione. Per loro esistevano solo le corse. Per Michael i test, per Max i simulatori. Schumi si è dedicato alla vita molto dopo aver dominato il mondo, per Max quel momento deve ancora finire. In pista sanno essere aggressivi allo stesso modo, sia che debbano inseguire o che stiano volando da soli in testa. Hanno commesso degli errori a inizio carriera, poi con il passare dei gran premi, hanno smesso di sbagliare.

Schumi ha frequentato delle zone grigie (l'incidente con Hill, quello con Villeneuve), Max lo ha fatto in momenti meno eclatanti, soprattutto prima di cominciare a dominare. Insomma Max non si è ispirato a uno solo dei suoi nuovi compagni di stanza. Ha cercato di mischiare le doti migliori, proprio come quando costruiamo il nostro avatar in un videogame.

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