Anche nei ristoranti la crisi è servita:

La crisi economica inizia a lambire anche il settore della ristorazione milanese. In modo meno prepotente e uniformemente diffuso rispetto agli altri comparti del commercio, ma con modalità che raccontano bene le difficoltà tanto degli esercenti quanto dei loro avventori, che cercano di non rinunciare al piacere di un pranzo o una cena nel locale preferito barcamenandosi tra una frequenza meno assidua e più selezionata e pasti un po’ più parchi. Insomma, i ristoranti per ora non si vuotano, ma i loro fatturati iniziano a calare. «Non c’è stata una diminuzione delle presenze. Ciò che sta calando è la spesa pro capite: i fatturati dei locali di Milano sono diminuiti del 15 per cento. È un’attenzione alla spesa che riscontriamo anche in vista del Natale: la gente ancora aspetta a prenotare, mentre gli anni scorsi in questo periodo già aveva iniziato». A parlare è Alfredo Zini, presidente dell’Epam, l’Associazione milanese pubblici esercizi, che spiega come a risentire maggiormente delle difficoltà siano i ristoranti di fascia media. «In linea di massima tiene meglio chi pratica prezzi alti, dai 60 euro in su, o chi è all’estremo opposto, con prezzi intorno ai 25 euro». Chi sta in mezzo, cerca di limitare i danni come può, soprattutto tagliando le spese.
Verificando sulle singole realtà, il panorama è piuttosto chiaro. «Noi non abbiamo ancora risentito della crisi, anche se aspettiamo con una certa apprensione di vedere cosa accadrà il prossimo anno - dice Ermanno Taschera, titolare del ristorante Il Baretto, locale di fascia decisamente alta (intorno agli 80 euro) nel cuore di Milano - I nostri che ancor clienti non è sono ancora stati toccati dalle difficoltà economiche. Per il futuro, si vedrà».
Ancora immuni dalla crisi e in attesa degli sviluppi dei prossimi mesi anche locali che hanno prezzi più contenuti, ma pur sempre medio-alti. È il caso del ristorante Dal Bolognese, locale tipico emiliano dove un pranzo completo costa intorno ai 60 euro. «Ancora niente crisi per noi - spiega il titolare, Alfredo Tomaselli - e quindi non sentiamo il bisogno di ricorrere a iniziative particolari per arginare perdite che non ci sono state. Per noi la cosa importante è la soddisfazione dei clienti, per cui, eventualmente, accettiamo anche di ridurre un po’ il nostro margine di guadagno». «È ora di smetterla di dire che c’è crisi: chi lavora e guadagna continua a spendere come prima». A parlare è Lamberto Gori, titolare de L'Assassino, ristorante di tradizione toscana dove si spendono circa 45 euro a pasto. «Abbiamo avuto un piccolo contraccolpo, intorno al 10% - dice ancora Gori - ma nulla di drammatico».
Anche nella stessa fascia di prezzo, tuttavia, c’è chi risente un po’ di più della situazione economica generale, senza per questo pensare di modificare tipo di offerta o servizio, ma cercando di intervenire sulle spese di gestione. «Un po’ di crisi la sentiamo - dice Filippo Giordano, titolare del ristorante Alla Collina pistoiese - Soprattutto è calata la clientela manageriale, perché le aziende hanno tagliato sui pranzi di lavoro, mentre i clienti privati hanno un po’ ridotto la frequenza. Noi siamo un ristorante storico, di fascia medio-alta, intorno ai 50 euro, quindi non possiamo modificare la nostra offerta».
Stesso discorso per La Libera e il giapponese Fuji: stessa fascia di prezzo (50-60 euro), stesso calo delle entrate, stessa politica di taglio dei costi.

«Noi vorremmo tenere aperto anche a pranzo - spiega Italo Manca, titolare de La Libera - ma abbiamo costi proibitivi e al momento non lo possiamo fare. Quindi riduciamo le spese per quanto possiamo». «Al momento arginiamo i costi - dice Pino Marchese, titolare del Fuji - poi valuteremo se aggiungere al menu piatti un po' più economici».

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