Letteratura

Le armate di Russia e Cina alla conquista dell'Europa

Nel libro amato da Céline, Mac Orlan immaginava il trionfo delle truppe guidate dalla "Condottiera Elsa"

Le armate di Russia e Cina alla conquista dell'Europa

Nella sterminata produzione di Pierre Mac Orlan (venticinque i volumi delle sue uvres Complètes), La Cavalière Elsa, La Condottiera Elsa, brilla di luce propria. Non fa parte dei cosiddetti «romanzi marittimi», né di quelli che hanno Montmartre per epicentro; ha una peculiarità tutta sua all'interno di quel «fantastico sociale» di cui proprio Mac Orlan si fece teorico; non rientra nella categoria del racconto satirico o umoristico; non è propriamente parlando un romanzo militare, ovvero Grande guerra e Legione straniera. Uscito nel 1921, è una distopia, che si può leggere come una profezia oppure uno scongiuro: i cosacchi che fanno abbeverare i loro cavalli nelle fontane di place de la Concorde, gli ufficiali dell'Armata Rossa che banchettano nei restaurants e nelle boîtes degli Champs-Élysées

Era già successo nel 1814, con la resa di Parigi e l'abdicazione di Napoleone, e da quell'esperienza umiliante i parigini avevano conservato nel loro vocabolario la parola bistro, riadattata in bistrot, l'ingiunzione «presto, presto», che i cavalleggeri dello zar Alessandro facevano piovere su garçons e tavernieri quando chiedevano di essere rifocillati di gran carriera e magari restando in sella All'ammonimento di Marx, quando la storia si ripete dalla tragedia si passa alla farsa, Mac Orlan aggiungeva di suo uno sberleffo: La Condottiera Elsa è una farsa tragica. La fine della Grande guerra aveva visto rovesciarsi sulla capitale francese una torma di esuli sconfitti, i cosiddetti «russi bianchi», aristocratici e intellettuali, dame di compagnia e donne di corte, alti ufficiali e giovani ereditiere senza più un'eredità su cui contare, e le sue vie si erano riempite di locali à la russe dove a festeggiare a champagne e a fracassare i bicchieri di cristallo dopo i brindisi, sempre à la russe, erano soprattutto i bons vivants parigini, perché ai profughi in fuga dal comunismo era per lo più riservata la sorte dei camerieri, dei portieri d'albergo e degli chauffeurs, dei danzatori della danza delle spade al suono di violini e balalaiche e degli acrobati, dei gigolò in colbacco e delle prostitute dalle finte perle e dal delizioso francese fin de siècle pronunciato con quella soave nuance slava

Quei «russi bianchi», ammoniva Mac Orlan nel suo romanzo, erano polvere negli occhi, poveri emblemi di un mondo scomparso e però un mondo occidentale, un comune sentimento europeo: dietro di essi si sarebbe abbattuto un uragano, l'Oriente e la Rivoluzione a guidarlo, una barbarie al galoppo talmente asiatica e talmente estranea a quell'idea di civiltà in cui ci si era sino ad allora cullati, da portare con sé anche les jaunes, i cinesi, i loro occhi a mandorla sotto il berretto con la stella rossa, e un'amazzone ebrea alla loro testa E allora, cosa sarebbe successo? Negli anni Trenta, quando una nuova guerra si profilerà all'orizzonte, Céline, che per le catastrofi aveva una cupa attrazione, si sorprenderà a notare in Bagatelles pour un massacre: «E Mac Orlan! Aveva previsto tutto, messo tutto in musica con trent'anni d'anticipo». Ma già nel Voyage c'era stato, unico riferimento a uno scrittore vivente, un accenno alla Cavalière Elsa come prodotto finale della guerra democratica, quella di popolo, della mobilitazione di massa. In Rigodon, terminato all'alba dei Sessanta, ma pubblicato al loro tramontare, Céline spingerà l'acceleratore delle sue ossessioni fino alle estreme quanto grottesche conseguenze, la dissoluzione della razza bianca, «la marea gialla», «i cinesi a Brest, i bianchi al risciò, mica tirati! Fra le stanghe! Il Quartier Generale dell'armata gialla alla Prefettura marittima! Tutti i problemi saranno risolti in un batter d'occhio! 179 Quella gente che non ha mai mangiato si riempirà di frittelle non andranno più in là di Cognac! Finirà tutto sbronzo felice, nelle cantine, il famoso pericolo giallo!».

In quel decennio, del resto, la profezia-scongiuro di Mac Orlan tornerà d'attualità in Francia nella sua variante più squisitamente maoista, quando appunto il maoismo sembrava essere divenuto la nuova stella fissa dei suoi intellò in cerca di stimoli rivoluzionari più alla moda con cui sostituire un'URSS troppo sclerotica per potervisi appassionare. Un film dell'epoca, Les Chinois à Paris, di Jean Yanne, ha con La Condottiera Elsa più di un punto in comune: le stesse feste, gli stessi giochi, la stessa derisione Perché poi il romanzo di Mac Orlan lo si può anche leggere all'incontrario, ovvero non come la paura di un'invasione, la sua denuncia, una sorta di pestilenza intellettuale, ma come il canto del cigno d'una civiltà arrivata al capolinea che posta di fronte al pericolo dapprima non lo riconosce: «La Russia mobilita». «E allora?», si legge nel romanzo; poi non è in grado di combatterlo e sconfiggerlo, infine ci viene a patti, ovvero cerca di farlo suo, un Lenin in salsa francese, il corrotto che si fa corruttore del barbaro conquistatore, l'Europa come riposo del guerriero Sotto questo profilo, un secolo dopo, La Condottiera Elsa risuona di straordinaria attualità, Oriente e Occidente che si scontrano

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«Occorre stabilire questo assioma. L'avventura non esiste. È nella fantasia di chi la insegue e, non appena si riesce a toccarla con un dito, svanisce per far capolino da tutt'altra parte, sotto una diversa forma, ai limiti dell'immaginazione. La guerra poteva essere considerata un'avventura. Sappiamo tutti, senza fare appello alle risorse della vita immaginaria, che cosa ha significato quando ci siamo stati dentro sino al collo».

È solo la letteratura insomma che riscatta l'avventura e se è vero che Mac Orlan è debitore del fratello legionario Jean, è però grazie a lui se quest'ultimo evade dalla brutalità di un'esistenza fatta di alcol e cafard per ritrovarsi trasfigurato, il che non significa abbellito, ma artisticamente compiuto, sulla pagina scritta, La Bandera, per esempio, con il suo assassino in fuga Pierre Gilieth e la sua morte esemplare, o L'Ancre de Miséricorde, dove uno spietato pirata è un esempio di vita per il ragazzo che della sua vera identità ignora tutto e scambia quel suo aver solcato i mari e conosciuto nuovi mondi per un'educazione avventurosa, laddove invece è solo l'invenzione di ciò che sarebbe potuto essere e non è stato.

Questo lungo periplo intorno al Pianeta Mac Orlan permette di cogliere meglio la singolarità di La Condottiera Elsa. Siamo di fronte a una fantasia nera, dove però gli elementi classici di quello che dovrebbe essere uno scontro di civiltà rimangono sullo sfondo, esecuzioni e saccheggi, spartizione di terre, processi sommari. Di fronte all'«agonia d'un vecchio mondo», «un frutto troppo maturo» e come tale destinato a cadere, non ce n'è un altro che ne prenda il posto, la palingenesi di una rivoluzione, ma solo «feste popolari ed esecuzioni capitali che abbiano un'apparenza veramente rivoluzionaria». In fondo, scrive ironicamente Mac Orlan, «esaminate sotto l'aspetto individuale, spogliate dei loro oratori e dei loro vessilli, le Rivoluzioni non sono altro che il trionfo del commérage», della maldicenza

Quella guidata dalla Condottiera Elsa, una sorta di marionetta manovrata da mani tanto abili quanto perverse nella loro pura sete di potere, bambola in uniforme, santa e puttana, lei sì sedotta dal «vecchio mondo», di cui si illude di poter fare parte indossandone i vestiti, utilizzandone i profumi, non fa eccezione.

«È la follia che domina il mondo» dice uno dei protagonisti del racconto, il pittore Bogaert, che si è visto nominare commissario del popolo alle Belle Arti e che ha goduto, per subito stancarsene, delle grazie della Condottiera Elsa Ed è questa follia che Mac Orlan fa esplodere sinistramente nelle pagine del suo romanzo, una Finis Europae a cui non si contrappone un mondo nuovo, ma un deserto di valori agghindato come una luttuosa festa perenne.

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