Artemisia, la «pittora» che amava le donne

Artemisia l’ambigua. Aldilà degli scandali e dei gossip su stupri veri o presunti (in realtà il «mostro» Agostino Tassi sarebbe stato già amante della Gentileschi e vittima di una trappola ordita dal di lei padre Orazio, geloso dei successi dell’amico rivale), e aldilà di matrimoni e le lettere adultere col giovane Francesco Maria Maringhi, alla virtuosa «pittora» barocca piacevano le donne. In senso artistico, ovviamente, ma i suoi nudi femminili, le sue morbide Susanne, le sue Galatee, e finanche le castranti e richiestissime Giuditte erano tanto più ambite e commissionate - specie durante il fortunato periodo romano - in quanto nascevano dal pennello di una donna. La grande mostra che inaugura oggi a Palazzo Reale è intrisa di questo mondo di eroine sacre e profane, di ritratti di suonatrici e languide fantesche, dame con ventaglio e giustiziere che affondano la spada nel sangue; quel sangue che stasera fa da sfondo alla performance teatrale di Emma Dante nella prima stanza dove troneggia un talamo peccatore e la riproduzione dei fogli manoscritti del processo che la vide parte lesa dello Stupro del secolo diciassettesimo. E che la rese, nel bene e nel male, celebre ai posteri: più per quello scandalo che per la perizia pittorica che ella apprese a bottega dal padre ma soprattutto dai capolavori in cui fu immersa fin da ragazzina, femmina privilegiata rispetto alla media e certo per questo eletta a paladina di liberazione femminile: i capolavori della Galleria del Palazzo del Cardinal Farnese affrescata da Annibale Carracci e i suoi, le pale del Caravaggio nella cappella di San Luigi e alla Madonna del Popolo, Guido Reni a Santa Maria Maggiore, e l'aula grande del Dominichino dai Benedettini di Grottaferrata. Le donne nel Seicento non dipingevano - al massimo ricamavano - e Artemisia sapeva farlo come un uomo, attingendo sapientemente e furbescamente da quello stile cavaraggesco che era richiesto dai committenti che pagavano bene, come il Duca di Baviera e il principe di Lichtenstein, il re di Spagna e i suoi ambasciatori e i nobili francesi, sempre durante il periodo romano. Otto anni prima, nel 1612, si era maritata col fiorentino Pierantonio Stiattesi, fratello di un amico del padre, con cui si trasferì nella città medicea e lì iniziò a frequentare i salotti dell’intellighenzia, da Michelangelo Buonarroti «il giovane», che le chiese di lavorare alla sua galleria, a stimati poeti come il Corsi e il Rinuccini, o altri artisti come Cristofano, figlio d' Alessandro Allori, e scienziati il grande Galileo. In quel periodo potè vantare di essere la prima donna ammessa all'Accademia del Disegno. Ma non navigava nell’oro e la mostra di Milano - promossa dal Gruppo 24 ore e l’Assessorato alla Cultura - testimonia l’opera di un’artista dedita a ripetere gli stilemi e le allegorie di moda (in primis la fortunata Giuditta che decapita Oloferne, ma anche la serie di Giuditta con la serva Abra, quella delle Lucrezie e delle Betsabee al bagno), e che non sempre utilizzava colori di prima qualità ma sapeva sopperirne con la sua arte fatta di sopraffine velature. Roberto Longhi scrisse di lei nel 1916: «È l'unica donna in Italia che abbia mai saputo che cosa sia pittura, e colore, e impasto, e simili essenzialità...»; ciononostante l’artista ha dovuto aspettare oltre tre secoli per vedere riconosciuto dai posteri il suo status di grande pittore. Status restituitole in pieno da questa rassegna che annovera opere di grandi musei internazionali come il Metropolitan di NY, ma anche inediti e di nuovissima attribuzione come La suonatrice dipinta a Venezia 1628 proveniente da una collezione privata (sulla cassa del liuto una microscopica firma: «A. G.

fecit»), o come l’Autoritratto datato 1617 proveniente da Minneapolis, e la «Vergine che allatta il bambino» ritrovato da un antiquario francese (1608). Un risultato frutto della meticolosa curatela di Roberto Contini, conservatore alla Gemäldegalerie di Berlino, con la collaborazione di Francesco Solinas, Maître de Conférences al Collège de France.

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