Ascensore stretto, disabile prigioniera in casa

Tre piani di scale, una sessantina di gradini in tutto, separano la signora Tranquilli, di 64 anni, da quello che è un suo diritto: una carrozzina elettrica del valore di 9mila euro che le è stata regolarmente assegnata dalla Asl RmE nel 2006 e che da allora giace inutilizzata in un angolo del balcone.
Siamo a Torrevecchia, periferia nord-ovest della capitale, in una casa popolare dell’Ater (l’ex Iacp) dove le dimensioni dell’ascensore non consentono di accogliere la carrozzina all’interno della cabina.
A causa di questa barriera architettonica insormontabile, la famiglia Tranquilli, all’epoca in cui è avvenuta la consegna della carrozzina elettrica all’assistita, ha prontamente inoltrato ai vertici dell’azienda che gestisce le case popolari una richiesta d’intervento. Ma, nonostante le promesse iniziali, e nonostante un primo stanziamento di fondi, l’ascensore in funzione nello stabile non è mai stato sostituito con un altro abilitato al trasporto dei disabili.
«La carrozzina è provvista di un motore elettrico e pesa oltre 100 chili - spiega la figlia di Anna Tranquilli -, impossibile caricarsela in spalla fino al terzo piano. Basti pensare che il giorno in cui ci è stata recapitata ci sono volute quattro persone per portarla fino a casa».
E dire che in principio i soldi necessari per installare un ascensore idoneo erano anche stati stanziati. «Qualche mese dopo che ne avevamo fatto richiesta - raccontano i parenti dell’anziana donna - l’assessorato regionale ai Lavori pubblici ha accolto la nostra domanda e allo scopo di procedere all’abbattimento delle barriere architettoniche nello stabile in cui risiediamo, ha erogato una somma pari a 55mila euro».
Era il 2007. Un anno dopo, però, quei soldi non c’erano più. Nella cassetta della posta la famiglia Tranquilli ha trovato una lettera in cui l’Ater faceva presente agli interessati che a causa dei problemi di bilancio dell’azienda, la gara d’appalto prevista per assegnare i lavori d’installazione dei nuovi ascensori sarebbe stata rimandata.
Ma in tutto questo, dove sono andati a finire i 55mila euro stanziati in precedenza dalla Regione? «Oltre al danno del mancato intervento, abbiamo subito anche la beffa della sparizione dei soldi», si rammaricano in casa dell’assistita.
Al momento, se si tiene conto di quanto è successo (o meglio, di quanto non è successo), quei 9mila euro che costituiscono il costo della carrozzina sono andati sperperati. E se è vero che non si tratta di una cifra a sei zeri, questo non contribuisce a rendere meno grave il cattivo impiego che ne è stato fatto.
Oggi l’unico modo che Anna Tranquilli ha di uscire autonomamente di casa, causa invalidità totale, è rappresentato da quella carrozzina elettrica che ormai da tre anni marcisce sul balcone. Nell’attesa di un nuovo ascensore che, a questo punto, potrebbe non arrivare mai, ad accompagnarla fuori provvedono il marito, anch’egli disabile, e i due figli.
«Perfino la carrozzina che usiamo adesso entra a malapena nella cabina», dice uno di loro. A sentirli parlare si legge nella loro voce un sentimento di rassegnazione. Nella lettera che hanno ricevuto l’Ater si è semplicemente limitata a informarli che non era più in grado di assumere «impegni di spesa», senza fare cenno alla data in cui sarebbe stata rinviata la gara d’appalto in oggetto.
Per quel che ne sanno i famigliari della donna, quella carrozzina elettrica rimarrà ferma sul balcone in eterno. «Mi chiedo come sia possibile - si domanda la figlia della signora Tranquilli - che 9mila euro vengano sprecati in questo modo». Difficile trovare una risposta che abbia senso.

Come del resto sarà difficile spiegare alla vittima di questa situazione deplorevole che deve rinunciare a quello che è, a tutti gli effetti, un suo diritto, e il cui unico desiderio è quello di poter scendere in cortile a prendere una boccata d’aria senza per questo dover chiedere aiuto a qualcuno.

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