Nino Materi
È il trionfo dellOliviero Toscani style. Che poi la cosa risulti più o meno un complimento, dipende dai punti di vista. Ad esempio il rettore dellateneo di Macerata, che lanno scorso lanciò limmagine choc di una matricola universitaria intenta a fare le corna sotto la scritta «la buona educazione», considera laccostamento assai gratificante. Va detto che alluniversità maceratese non fa certo difetto la fantasia, come dimostra un altro slogan particolarmente frizzante: «Liscia, gasata o Macerata?».
Sulla stessa linea di marketing pubblicitario si attestano infatti tantissime altre università italiane, convinte ormai che la pubblicità - oltre a essere lanima del commercio - sia diventata anche il «soffio vitale» dellateneo; una folata lunga una réclame che mira ad avvolgere la potenziale matricola trascinandola fino allo sportello-iscrizioni. Un percorso lungo il quale il neodiplomato rischia di imbattersi perfino nel celebre Tapiro di Striscia la notizia, scelto dallo Iulm di Milano come il simbolo acchiappastudenti.
La butta sul serioso, invece, luniversità di Siena il cui motto è «il sapere non è un accessorio» inciso sotto una finta enciclopedia di cartone tipo quelle che fanno «bella» mostra tra le librerie esposte nei negozi di arredamento. Una tendenza che ha portato oggi il 100% degli atenei a stanziare un fondo-comunicazione rivolto ai maturandi: unimpennata record, considerato che appena 10 anni fa solo ununiversità su tre prevedeva una quota per questo tipo di spesa; dal 2000 a oggi, inoltre, è salita all84% la media degli atenei che fa pubblicità sui giornali, al 71% quella che punta sui manifesti e al 65% quella che sceglie spot radiofonici. Un giro daffari che nel 2004 ha elevato a 11 milioni di euro la cifra investita dalle nostre università per «farsi conoscere». Obiettivo perseguito pure attraverso la sponsorizzazione di concerti e linvio di Sms, sebbene la cartellonistica rimanga lo strumento ideale per abbinare immagine deffetto e slogan spiritoso: famosa la foto del surfista che dice «prendi londa giusta per il tuo futuro» (università Cattolica), oppure la frase «facoltà straordinaria» sotto il panorama di un cielo stellato (università Bicocca di Milano).
E poi studenti sorridenti che ti strizzano locchio da cartelloni giganti, luoghi e slogan accattivanti che campeggiano un po ovunque in giro per la città, jingle radiofonici che fanno capolino tra una canzone e laltra.
Un buon battage pubblicitario garantisce nuove matricole e queste, a loro volta, nuovi fondi e investimenti da parte del ministero dellIstruzione: apparire per sopravvivere, è questa la lezione da imparare. Così da Macerata a Urbino, da Teramo a Pisa, passando per Trieste e Siena, sono tantissimi gli atenei che ormai hanno abbracciato questa filosofia, affidandosi a veri (o sedicenti) esperti della comunicazione. Risultato: una sagra di giochi di parole, doppi sensi, «creatività» e «ironia».
Come nel claim proposto dalluniversità di Teramo per la facoltà di giurisprudenza: «La legge non ammette ignoranza»; non gli è da meno scienze della comunicazione: «A buon intenditor immagini e parole»; ovviamente bestiale lo slogan di veterinaria: «Qui gatta ci cova»; acquolina in bocca per quelli di agraria: «Lappetito vien studiando».
La pubblicità dellateneo di Pisa punta sullidea dellamore per la ricerca, con lo slogan «da bambino volevi sapere il perché delle cose, continua così», accanto allimmagine di un bambino con una conchiglia allorecchio. Lateneo di Pavia, invece, sceglie di valorizzare lunicità della sua offerta, con lo slogan «nel mare delluniversità cè unisola felice». Da non confondersi con «lisola che non cè».
«Le università - spiega il professore Daniele Pitteri, docente di teorie e tecniche del linguaggio pubblicitario alluniversità La Sapienza di Roma - sono in concorrenza tra di loro e ciò le spinge a vendere il proprio prodotto e a farlo meglio degli altri.
La corsa al «pezzo di carta» passa così anche per Carosello.
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