Uno dei grandi temi dell'attuale società è l'uso dei telefoni cellulari da parte dei giovanissimi, spesso bambini più che adolescenti, che con gli smartphone hanno accesso al mondo virtuale quasi senza controllo, senza filtri e senza limiti. Ed è stato questo il punto di partenza della riflessione settimanale del direttore Tommaso Cerno a Domenica In perché, ha detto, "abbiamo smesso di ascoltare gli altri". E ad aver smesso di ascoltare sono gli adulti, che non si rapportano più con i bambini e con gli adolescenti.
"Abbiamo separato gli adulti dai più piccoli, perché i telefoni hanno tantissimi vantaggi, hanno dato tante cose che un tempo non si potevano fare ma dentro questa ossessione hanno portato anche dei cambiamenti che facciamo finta di non vedere, ad esempio delle vite parallele rispetto alla realtà, dove vedi un ragazzo, magari tuo figlio, adolescente, che con la famiglia si comporta in un modo, ritieni abbia dei gusti e delle passioni e poi nei like, nella vita che lui fa di nascosto ha tutti altri riferimenti. All’improvviso può succedere una cosa che non ti aspetti, che pensi arrivi da lontano e invece lo avevi di fronte ma non lo capivi". E questo è il tema principale, per il quale ora in Italia "si comincia a parlare di divieti, di vietare, togliere il telefono e fare in modo che si vieti il telefono, come se fosse colpa del telefono e non di chi lo usa". L'esempio più banale di questo errore di concezione è l'auto: sarebbe come vietare le automobili solo perché ci sono gli incidenti perché qualcuno è distratto alla guida.
"La fretta di vietare, invece di capire, è un grande tema", ha proseguito il direttore. "Ho visto in un ristorante una famiglia con un bambino di 5 anni e siccome si annoiava, come succede ai bambini quando li porti nei posti degli adulti, gli hanno dato il cellulare: lui l'ha aperto da solo e ha cominciato a usarlo come voleva, meglio del padre. Ed era usato perché stesse zitto: va censurato il genitore, non il telefono, perché lo usa al posto della sua parola, della coccola, della spiegazione, della compagnia", ha raccontato ancora il direttore. Al tavolo era presente anche Giorgio Perinetti, dirigente sportivo di lungo corso, che la vita ha messo davanti a una delle tragedie più grandi per un essere umano: perdere un figlio. La figlia di Perinetti è scomparsa a causa dell'anoressia e lui nel suo libro "Quello che non ho visto arrivare" racconta la malattia e il modo in cui la famiglia l'ha subita, quasi impotente, senza poter intervenire per la mancanza di volontà della figlia di essere aiutata.
"Sono due cose grandi che dice e fa Giorgio Perinetti con questo libro: soffrire la testimonianza di qualcosa che lui avrebbe fatto meno fatica a dimenticare ma serve a convincere gli altri a chiedere aiuto, a non sentirsi soli, quindi ad avere la possibilità di dire: io ho un problema, qualcuno mi aiuti. L'altra è legata allo sport, ed è molto importante: I più giovani, oggi, sul telefono sono abituati solo a vincere. I like, la bellezza, il giudizio degli altri, mentre nello sport si impara a perdere, forse l'unico luogo nel quale impariamo che perdere è una bella cosa, perché ci fa diventare grandi", è intervenuto Cerno spiegando il libro del dirigente. Noi, ha aggiunto il direttore nel suo ragionamento, "dobbiamo imparare a perdere con la stessa dignità anzi con più forza di quella delle vittorie che durano un attimo. Per vincere basta fare un gol, per perdere devi sapere che la vita è una cosa meravigliosa e devi saper andare avanti e insegnare agli altri che sei più forte quanto perdi. Questo lo insegna lo sport, lo insegnano i libri e la cultura, lo fa uscire dalla banalità di nasconderti perché ti vergogni. Ci sono ragazzi che mettono in gioco la loro vita per un commento che leggono solo loro e fuori c'è un mondo che li aspetta e non lo sanno".
L'odio online è una delle più grandi problematiche che colpiscono i giovani ma anche i meno giovani, che si ripercuote nella vita di tutti i giorni se non si è abbastanza corazzati e se non si impara a difendersi. Ma non è il divieto che risolve la situazione perché, ha spiegato Cerno, "quando uno Stato arriva a vietare qualcosa con la scusa che un sedicenne minore, ma a 16 anni ci sono artisti in carriera, significa che c'è uno stato di disperazione e di incomprensione di chi deve guidare una società rispetto ai fenomeni che succedono. Serve un aggiornamento del legislatore, perché il divieto e il proibizionismo fanno più male del consentire educando. Siamo noi, più grandi, imparare quello che vietando pensiamo di allontanare dai più giovani e che invece rendiamo ancora più interessante".
E prendendo spunto da quanto ha detto Laura Pausini, che si è staccata dai social perché le creavano malessere, il direttore ha invece rivelato: "Io non leggo nemmeno più perché ho una caterva di insulti tutto il giorno. Chi vuole imparare a leggere i social facendo una risata venga da me. Non li blocco nemmeno, li lascio cantare: la vita è bella, quella vera".