
Agli esami scritti della Maturità 2025, ieri, è stata proposta una traccia di attualità con un brano del magistrato Paolo Borsellino: era titolato «I giovani, la mia speranza» e fu pubblicato su Epoca nel 1992, poco prima che il magistrato e la sua scorta saltassero in aria in via D'Amelio, a Palermo. Il brano (ne parliamo a pagina 17) è condivisibile ma anche banalizzabile, perché a grandi linee, molto grandi, potrebbe essere liquidato come un pistolotto in cui si ripete che la mafia prospera su ignoranza e omertà, che teme più la scuola della giustizia e che istruzione, che cultura e conoscenza sono gli unici antidoti: niente di falso, ma qualcosa che in teoria potrebbe valere per tutto. Non è proprio così. Ecco perché un tema che ieri probabilmente nessuno avrà scritto, sulle parole di Borsellino, è il seguente.
Paolo Borsellino, purtroppo, non fece in tempo a sapere che la mafia corleonese che insanguinava Palermo sarebbe stata sconfitta in pochi anni, che la struttura gerarchica di Cosa Nostra ora è incarcerata o sottoterra, che non ci sono più stragi od omicidi seriali o prese sul territorio alternative allo Stato. Non fece neppure in tempo, Borsellino, a sapere che la vittoria dello Stato avrebbe preso le mosse proprio da una reazione alla strage di via D'Amelio e a quella di Capaci, dove era già morto il suo amico Giovanni Falcone: il quale, non per caso, aveva detto che «la mafia non affatto invincibile, come tutti i fatti umani ha avuto un inizio e avrà anche una fine». Aveva ragione. Oggi la mafia non insanguina più Palermo, non ci sono ammazzamenti quotidiani, si è persa e globalizzata nei mille rivoli della criminalità organizzata. Quello che rende ancora attuali le parole di Borsellino, però, è il persistere della mentalità mafiosa: quella è difficile ammanettarla o scioglierla per decreto, serve tempo, servono appunto quelle cose che sono l'istruzione, l'educazione alla legalità, il rispetto delle regole e il valore della responsabilità. Il problema è che a scuola magari te le insegnano, queste cose, ma poi la vita adulta ti spinge e disimpararle, t'invita a farti furbo, a fare delle scelte contro altre, a preferire una fazione contro un'altra, una squadra, un partito, un interesse, una mafietta contro un'altra. Borsellino e Falcone non erano così, e, da quanto so, non lo erano neanche con l'altro amico Giuseppe, dico il magistrato Giuseppe Ayala. Erano diversi, avevano opinioni diverse su un sacco di cose: ma non sulle cose importanti di cui dice Borsellino. Quando Ayala si candidò al Parlamento, per dire, il dialogo con Borsellino fu surreale: «Non ti posso votare»; «Perché?»; «Sono monarchico, la Repubblica non fa per me. Tu sei repubblicano e io non ti voto». Tutto ovviamente sul filo dell'ironia, come per gli sfottò legati al passato di Borsellino da simpatizzante del Fuan, i giovani di destra: lo chiamavo camerata Borsellino, ha scritto Ayala in un libro che mi ha mostrato mio padre. C'è scritto che Ayala entrava in stanza sguainando il braccio destro, e allora lui, Borsellino, rispondeva allo stesso modo. Poi ridevano. Uno dei migliori amici di Borsellino era Guido Lo Porto, un deputato di destra, oppure Giuseppe Tricoli, il professore di Storia con cui Borsellino passò l'ultimo giorno della sua vita. Anche la madre di Borsellino era un bel tipetto: quando gli Alleati sbarcarono in Sicilia, vietò ai figli di accettare doni dagli americani. Poi, d'accordo, c'era Falcone. Erano nati entrambi alla Magione, alle spalle della Kalsa, nel vecchio cuore di Palermo. Avevano giocato e studiato insieme, i loro ricordi riaffioravano con battute e freddure che sancivano un'amicizia d'acciaio. Queste cose oggi non le ricorda nessuno, non le scrivono nei temi. Ma non importa.
Borsellino e gli altri magistrati che distrussero Cosa nostra erano persone diverse anche nel carattere, ciascuno con la sua testa, le sue idee, divisi persino nelle correntine della magistratura. Ma mai divisi, come ha scritto Paolo Borsellino, sulla legalità, sul rispetto delle regole, sulla responsabilità e il suo valore. Mai. È questa la sua lezione.