Letteratura

"Aurora" è un brusco risveglio dall'incubo

Una storia perturbante e ipnotica come una maledizione

"Aurora" è un brusco risveglio dall'incubo

«La piccola morte», un modo sinistro per dire l'orgasmo: serviva la penna di Giorgio Nisini per prendere alla lettera la formula e costruirci attorno un romanzo disturbante, che pesca nel profondo delle paure più ancestrali. Tutto inizia quando Stefano, un imprenditore attivo nel campo dell'illuminazione per giardini, riceve una telefonata in un albergo vicino Francoforte, dov'è per lavoro. Una voce femminile gli ricorda la promessa - in realtà una minaccia - fattagli anni addietro, nel corso di un ricevimento in riva al lago di Bolsena da una donna male in arnese, subito cacciata dai camerieri perché senza invito. «Volevo fare gli auguri a sua figlia. Oggi compie sedici anni, giusto?». La ragazza, il cui nome dà il titolo al romanzo, Aurora (HarperCollins Italia, pagg. 320, euro 19), in effetti sta per compiere gli anni e ha deciso di concedersi al suo ragazzo, ignorando la maledizione che la opprime e che la precipiterà in uno stato di catatonia - una piccola morte, per l'appunto - che i medici non riescono a spiegare. Nei giorni successivi, mentre Aurora giace con gli occhi chiusi nel letto di una clinica privata, Stefano e la moglie Carola ricostruiscono a fatica la costellazione domestica, non priva di episodi loschi e forse criminali, all'origine della sciagura.

Narratore idiosincratico e atipico nel prevedibile panorama del romanzo italiano, Nisini è interessato a un precisa forma di perturbante, quella emanata da una tecnologia che nelle pieghe di velleitarie ambizioni estetiche dissimula il sostanziale nichilismo, di cui è un'articolazione. Il mondo patinato del design o gli orologi di lusso al centro dei romanzi precedenti, e adesso le lampadine ad arco trasfigurate nei poster degli anni Trenta da un'iconografia apparentemente progressista, in realtà minatoria e dissolvente, indirizzano paradossalmente il lettore verso un sostrato immemoriale, in cui ogni personaggio mostra il vero volto: la megera cacciata dai camerieri è una «norna», una parca che taglia il filo della vita con un colpo di forbici; Carola cede a una superstizione in principio vagamente mariana, poi magica e stregonesca, per cancellare una colpa che passa intatta di generazione in generazione, come in Eschilo, per sfogarsi infine su un'adolescente ignara e totalmente innocente.

Aggiungete le allusioni alla fiaba nordica e la curiosità antipositivista per gli stati ipnotici e avrete un'idea del fascino di un romanzo che ha molti meriti, per esempio far perdere il sonno, se gli si dà un po' di corda.

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