Cultura e Spettacoli

Autobiografia di una famiglia di grandi giornalisti: i Barzini visti da Ludina

Esce per la Mondadori un libro che racconta una piccola saga di grandi cronisti e scrittori: da Luigi senior a Luigi junior fino all'autrice, ultima (per ora) della dinastia. Un appassionante racconto fatto di grandi avventure e piccole intimità, tra scoop e rigore

Il nome Barzini è un marchio, anzi, un brand come si dice oggi, di qualità: buona scrittura, ricerca puntigliosa della verità, viaggi avventurosi. Insomma, l'inviato speciale del buon vecchio giornalismo e quello che, ahimé, ancora sognano i giovani d'oggi quando si accostano alla professione.
Tradizione trasmessa di padre in figlio, Luigi senior a Luigi junior. Tutto già detto, tutto molto conosciuto, già rintracciabile sui libri di storia. Ma se a raccontare la storia dei Barzini è la terza generazione, allora la cosa cambia, i fatti storici si arricchiscono di particolari inediti, di aneddoti, di curiosità. Grazie alla ricca documentazione in suo possesso, Ludina Barzini, nipote di Luigi senior e figlia di Luigi junior, ha scritto «I Barzini, tre generazioni di giornalisti, una storia del Novecento» (ed. Le Scie Mondadori, pp. 566, euro 24), un libro di oltre cinquecento pagine delle quali solo una sessantina dedica a se stessa, ultima (per ora) della grande dinastia.
Ed è stato spulciando tra le vecchie lettere del nonno e del padre («da buona giornalista non butto mai via niente»), i ricordi personali e degli amici che Ludina ha ricostruito per i lettori una storia che ripercorre tutto il secolo scorso, attraverso, appunto, tre generazioni di giornalisti. Dalle pagine traspare «l'orgoglio di chiamarsi Barzini, il senso di giustificazione del mestiere, una grande lezione di giornalismo», come ha osservato Arrigo Levi alla presentazione del libro alla Stampa Estera di Roma.
La prima parte è quasi un libro di storia, con il racconto delle origini dei Barzini, la loro collocazione geografica a Orvieto («gli orvietani sono per carattere fieri, talvolta ruvidi, abitano in cima a una rupe, che è in qualche modo come un'isola in mezzo al mare») da cui parte il primo, Luigi senior, figlio di un sarto, alla fine dell'Ottocento per cercare fortuna a Roma. La troverà, naturalmente, perché è bravo, ma soprattutto perché è tenace e riesce a farsi notare dal Corriere della Sera grazie a un primo scoop, un'intervista a una cantante lirica che non si lasciava avvicinare dai giornalisti. Da qui parte una carriera che Ludina, nel libro, infarcisce di preziosi cammei, come la cintura-forziere per Senior, ideata dal direttore del Corriere, Luigi Albertini, per trasportare 250 marenghi d'oro, unica valuta possibile in Cina, per la rivolta dei Boxer nel 1900: «Il fatto di essere diventato io stesso la mia segreta cassaforte - scrive Senior - con la responsabilità di quell'oro misterioso di cui sentivo perennemente il peso sulle anche nude, aggiungevano alla mia esaltazione per la straordinaria missione affidatami un emozionante tocco romanzesco».
Romanzesca, a dir poco, è anche l'avventura della Pechino-Parigi sull'automobile Itala con il principe Scipione Borghese del 1907. Ma ogni corrispondenza di Barzini ha un tocco di avventura, perché il giornale lo manda ovunque serva un osservatore attento e di buona scrittura, in America come in Russia, dalla conquista della Tripolitania al focolaio dei Balcani. Sono però i lati privati di Luigi senior che arricchiscono il libro di Ludina: il rapporto conflittuale con il direttore-despota Albertini, il carteggio con l'adorata moglie Mantica, laureata alla Sorbona e poco incline a diventare una donna di casa, come vorrebbe Senior. «Oggi ho spolverato leggendo Flaubert», è la folgorante risposta di Mantica all'ennesimo invito del marito.
Nella seconda parte del volume, dedicata a Luigi junior, si comincia ad avvertire una parte più intima nel racconto, per via del rapporto molto stretto che unisce il padre alla figlia, individuata in famiglia come la più idonea a seguire le orme giornalistiche, forse per via della sua curiosità innata. Anche la vita di Junior è a dir poco avventurosa, con un taglio internazionale che gli deriva dall'aver studiato negli Stati Uniti e dal fatto che il suo libro più celebre, The Italians, è stato scritto e pensato per il mondo anglosassone e da loro molto più apprezzato che in Italia. Del resto, Junior amava gettare scompiglio tra i letterati di casa nostra affermando: «Solo lo scrittore è un grande giornalista e solo un grande giornalista è scrittore». I due Barzini, padre e figlio, sono diversi come caratteri, ma guidati dagli stessi valori, il fiuto per le notizie, il gusto della sfida, la tenacia di riuscire nel proprio lavoro. Se Senior è il «principe» del giornalismo, Junior non è stato da meno e la risposta di Ludina nel libro è: «Ciascuno è figlio del suo tempo (...) sono giornalisti diversi, ognuno è bravo a modo suo». E ancora: «Nelle asprezze dei caratteri, che sono diversi ma simili: ritrosi, timidi e sfacciati, dubbiosi, alla ricerca della perfezione professionale, ironici, spiritosi, ma non sempre simpatici, anzi, spesso antipatici», Ludina ha voluto ricostruire la storia della sua famiglia «barzinianamente», cioè dicendo la verità, senza fare sconti a nessuno, come quando, parlando del fratellastro Gian Giacomo Feltrinelli, ucciso dalla bomba che stava ponendo su un traliccio a Gaggiano, alle porte di Milano, nel 1972, dice che è stato vittima di un fanatismo cieco.
Nell'ultima parte, Ludina cambia ancora registro, ha quasi una comprensibile ritrosia a parlare di sé e del suo lavoro. Ma se c'è un filo che accomuna i Barzini è la testardaggine e Ludina, pur dovendo competere con tale padre e tale nonno, non si tira indietro. La sfida che deve vincere non è solo con il cognome, ma anche con il fatto di essere donna, una differenza non da poco, perché, come lei racconta nel libro, «l'attività delle donne è sempre giudicata con una speciale lente d'ingrandimento e sottoposta a eterni esami e lotte per essere riconosciuta». Basti un episodio, da lei stessa raccontato nel volume e alla presentazione a Roma. Alla fine degli anni Sessanta, Ludina lavora negli Stati Uniti e viene mandata dall'Espresso a fare la «ragazza di bottega» di Alberto Moravia in occasione della spedizione dell'Apollo 11. Tocca a lei che è bilingue organizzare e mettere a punto tutta la ricerca necessaria per fornire materiale agli articoli che firmerà Moravia. È un lavoro appassionante e faticoso, ma, al ritorno a New York, invece delle lodi Ludina assiste a un rimprovero che Moravia rivolge al capo della redazione, Mauro Calamandrei: «Cosa ti è venuto in mente di assumere una donna? Sarebbe stato meglio pagare un uomo per non togliere il boccone a chi poteva averne bisogno».
E così, attraverso il vissuto di questi due, anzi tre, grandi personaggi, con i loro slanci e amarezze, matrimoni, figli e lutti, scorre veloce la storia del Novecento, e, nonostante la mole del volume, anche le pagine si divorano. Perché i Barzini si leggono facile, anche se questo lavoro è costato fatica e Ludina si è quasi isolata dagli amici per un lungo periodo perché «questo libro è il più difficile, affascinante, interessante, intrigante, complicato articolo mai affrontato», come lei stessa scrive nella parte finale. «Ancora oggi qualcuno mi chiede se è scomodo avere avuto un nonno e un padre giornalisti e scrittori di fama internazionale. Scomodo no, impegnativo sì e, soprattutto, un grande onore». E non è detto che la saga dei Barzini si concluda con Ludina. Il figlio, Gregorio, già scrive sotto l'ala vigile della saggista Marta Dassù e se buon sangue non mente..

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(ha collaborato Enzo Merlina)

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