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L'Alfa 33 perduta nel deserto, sembra un miraggio ma non lo è

Un'Alfa 33 1.5 4x4 è custodita gelosamente dalla sabbie del Sahara, dopo un incidente nella Parigi-Dakar del 1986. Ancora oggi è testimone di quella corsa

L'Alfa 33 perduta nel deserto, sembra un miraggio ma non lo è

Ti trovi in un frammento imprecisato degli oltre 9 milioni di chilometri quadrati del più grande deserto del pianeta, il Sahara, non conosci le coordinate precise, ma tra l’immenso mare di sabbia con il quale l’occhio smarrisce l’orizzonte, e tra le fitte dune arcuate come le onde dell’oceano, scorgi qualcosa di anomalo. Giureresti che si tratta di un’allucinazione, fai un passo verso di lei e quella carcassa di lamiera non se ne va, resta fissa dentro al tuo cono visivo. Con la bocca asciutta e la pupilla dilatata ti accorgi passo dopo passo che quei rottami hanno la sagoma di un’automobile familiare, anche se di questi tempi si fa fatica a vederne una circolare alle tue latitudini, in Italia, figuriamoci scorgerne una – seppur cotta dal sole – nel cuore dell’immenso deserto. Al momento, l’unica cosa che sai è che la tua direzione è quella che volge verso Dakar, la capitale del Senegal ed epico punto di arrivo del più famoso rally-raid della storia: la Parigi-Dakar. Da molto tempo i motori non sfrecciano e non rombano più nel selvaggio deserto africano, preferendo percorsi meno pericolosi e affascinanti, allora capisci con un barlume di lucidità che quel groviglio di metallo non è altro che una di quelle Alfa Romeo 33 1.5 4x4 Giardinetta che prese parte all’edizione 1986 di quella leggendaria corsa. Lo si intuisce anche da quello sbiadito adesivo in cui si intravede la scritta “Marlboro”. Peccato che il resto della carrozzeria abbia smarrito integralmente ogni accenno di colore, sfoggiando – suo malgrado – solo la nuda lamiera.

Dalle piste da sci al deserto

L’Alfa 33 nasce in un momento complesso per il Biscione, le casse sono vuote, la concorrenza spietata e serve una magia per cambiare un percorso che all’orizzonte sembra funesto. L’incantesimo come sempre sembra impossibile, ma riesce anche stavolta: l’artefice è lo stregone Ermanno Cressoni, che confeziona un abito nuovo all’Alfasud. La 33 infatti riprende il telaio e il motore boxer che avevano fatto le fortune della berlinetta nata a Pomigliano d’Arco, ma all’esterno sembra un’auto tutta nuova e moderna. È il 1983 e nel mese di dicembre, giusto in tempo per le vacanze di Natale che bussano alla porta, viene presentata al Salone di Francoforte l’Alfa 33 1.5 4x4. La sua meccanica è sofisticata e intelligente: dispone di una trazione integrale inseribile manualmente, attraverso una levetta posta davanti al cambio, mentre la dotazione è ricca e lussuosa. Viste le premesse, in breve tempo la 33 Giardinetta 4x4 inizia a popolare le località sciistiche più affermate: da Cortina a Madonna di Campiglio, da Sestriere a Saint Moritz, l’Alfa a trazione integrale comincia a diffondersi nel paesaggio come una bella baita di montagna. Al volante la nuova creatura del Biscione si distingue per il solito piglio sportivo, in più la sua maneggevolezza e la sua capacità di muoversi su ogni terreno la rendono più che una valida alternativa ai fuoristrada dell’epoca, che sono più costosi, assetati e soprattutto lontani dal concetto di comfort di cui dispongono i SUV odierni. Vedendo come danza bene sulla neve, a qualcuno viene in mente di spostarla in un ambiente completamente opposto: la sabbia del deserto.

Alfa 33
Le Alfa 33 1.5 4x4 al via della Parigi-Dakar 1986

L'Alfa 33 alla Parigi-Dakar

Si passa, dunque, dal freddo delle Alpi al caldo secco del deserto africano. La Parigi-Dakar degli anni ‘80 è un concentrato di passione e follia, un’impresa che mette in comunicazione l’uomo e il suo mezzo, alla ricerca di una simbiosi armonica per sfidare la natura nella sua massima e violenta espressione. Questa corsa è rischiosa, i pericoli sono realmente dietro a ogni angolo e gli equipaggi sanno che devono essere pronti a tutto. Servono bussole, mappe, kit di ogni genere e soprattutto una scorta di coraggio che non si trova negli scaffali del supermarket, quello si ha oppure non si trova. Insieme a tutto questo è necessaria una sana incoscienza, che viene alimentata da questo genere di sfide che, però, piacciono a chiunque, tutti vogliono partecipare e l’entusiasmo è alle stelle. Al via dell’edizione di Parigi del 1986 ci sono davvero una schiera di auto improbabili, ma tra gli eleganti palazzi della capitale transalpina si nascondono anche delle Alfa 33 allestite con il coltello tra i denti. Dismesso l’abito elegante da festa in chalet e riposto nell’armadio la tuta da sci, la 33 1.5 4x4 Giardinetta adotta delle gomme da deserto, dei faretti aggiuntivi all’anteriore e una serie di migliorie utili per trasformarla in un’arma che utilizzerebbe anche un berbero inferocito di fronte a un nemico.

Alfa 33
L'Alfa 33 perduta nel deserto

Al via sono 282 le auto iscritte, al traguardo arrivano appena in 100. A vincere e dominare quell’edizione ci penserà un mostro, la Porsche 959 Dakar, che conquisterà sia il primo che il secondo posto. Ma che fine hanno fatto le Alfa 33? Una di loro rimarrà prigioniera del deserto dopo essersi guastata e, in seguito, incendiata. Oggi la sabbia la custodisce come un reperto di un’epoca lontana, dominata dalla sconsideratezza e dall’adrenalina, in cui gli uomini andavano alla ricerca di un limite in mezzo alle dune del Sahara.

Chi la vuol trovare non avrà vita facile, perché il deserto è geloso dei suoi trofei strappati a uomini coraggiosi, ma se per caso doveste trovarvi di fronte a lei non scambiatela per un miraggio, non strappatele via un pezzo, lei è lì come manifesto di un’epoca di dissennatezza che non tornerà mai più, un museo a cielo aperto innalzato in favore dell’originale Parigi-Dakar.

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