
Alla fine della Prima guerra mondiale Gabriele d'Annunzio poeta, scrittore, drammaturgo, seduttore, dandy, eroe della Beffa di Buccari e del Volo su Vienna era uno degli italiani più famosi nel mondo, con Guglielmo Marconi e Arturo Toscanini. Entrambi, nel 1920, andarono a rendergli omaggio e a sostenerlo nell'impresa di Fiume. Era lui adesso, e di gran lunga, il più celebre. Conquistata, senza sparare un colpo, la città che i trattati di pace non avevano assegnato all'Italia, la tenne dal settembre 1919 al dicembre 1920, fondendo patriottismo e ribellismo, rivoluzione e sindacalismo: in collaborazione con il sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris stilò il manifesto ideale di un nuovo sistema sociale e politico, la Carta del Carnaro, un documento straordinario. Quella Costituzione riuniva le maggiori conquiste dello stato di diritto di allora in un avveniristico disegno di società corporativa. Dalla Carta del Carnaro si cercò anche di trarre un'ideologia, il fiumanesimo, che avrebbe dovuto essere la terza via tra socialismo e capitalismo: niente a che vedere con il fascismo, se un modello c'era, era quello della Serenissima e del cantonalismo svizzero, a cui si ispirava sia per la democrazia diretta sia per la convivenza multietnica. Il movimento fascista nel 1920 era ancora poco rilevante e durante il regime avrebbe preso dall'impresa fiumana riti e simboli inventati o resi usuali da d'Annunzio (eja eja alalà, il discorso dal balcone in dialogo con la folla, me ne frego, il culto dei labari e dei morti...) ma non quel documento democratico. I 47 articoli della Carta, inizialmente stilati da De Ambris, furono riscritti radicalmente dal Vate. D'Annunzio voleva che la costituzione fosse anche un'opera d'arte, meglio un testo sacro, e i suoi interventi non si limitarono alla forma. I 47 articoli divennero 65 e la versione autografa 113 fogli scritti a matita, fitti di correzioni a inchiostro nero ribadiscono la paternità dannunziana. La Reggenza del Carnaro è definita un governo «schietto di popolo» e fondata sul «lavoro produttivo» (art. III) come mezzo di emancipazione sociale. Risalta immediatamente la somiglianza forse non casuale - con l'articolo I della costituzione italiana del 1948, secondo il quale l'Italia è una repubblica «fondata sul lavoro», con una formula frutto di un compromesso tra socialdemocratici, comunisti, liberali e democristiani. Un altro principio basilare è l'uguaglianza, che la Reggenza riconosce a tutti «senza divario di sesso, di stirpe, di lingua, di classe, di religione». I maggiorenni e le maggiorenni (a ventuno anni) sono elettori e eleggibili a tutte le cariche (art. XVI). La grande novità è che le donne siano eleggibili, in un'Europa in cui anche solo il diritto di voto esisteva in pochi paesi; in Italia sarà concesso nel febbraio 1945. Sono garantite la libertà di pensiero, di stampa, di culto, di riunione e di associazione (art. VII). Sono garantiti i diritti all'istruzione primaria, all'educazione fisica, al lavoro remunerato, al salario minimo, all'assistenza sanitaria, alla pensione, all'inviolabilità del domicilio, all'habeas corpus, al risarcimento in caso di errore giudiziario (art. VIII). La popolazione può, raggiunto un determinato numero legale: proporre leggi, richiedere referendum per modificare la Costituzione, indire petizioni e chiedere la destituzione dei propri rappresentanti (art. LV-LX). Si perdono i diritti politici solo se condannati «in pena d'infamia»: disertori, evasori fiscali, parassiti non giustificati dall'infermità (art. XVII). Ai Fondamenti, d'Annunzio aggiunse l'articolo XIV: mirabile per stile e contenuto, elenca tre «credenze religiose», i principi morali universali che devono regolare il rapporto tra il singolo e la collettività: «La vita è bella, e degna che severamente e magnificamente la viva l'uomo rifatto intiero dalla libertà; l'uomo intiero è colui che sa ogni giorno inventare la sua propria vita per ogni giorno offrire ai suoi fratelli un nuovo dono; il lavoro, anche il più umile, anche il più oscuro, se sia bene eseguito, tende alla bellezza e orna il mondo».
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Un poeta guerriero, armato di una costituzione mai sperimentata, difeso da un esercito e sostenuto da migliaia di donne e uomini sparsi nel mondo ha creato uno Stato italiano ai confini d'Italia: se l'Italia non annetterà Fiume, Fiume annetterà l'Italia. Sappiamo come, con il Natale di sangue, il sogno fu infranto e abbandonato, vinto sia dalla forza del governo e delle istituzioni, sia dall'ordine che Mussolini dette ai suoi squadristi: non intervenire in difesa di Fiume. Però la Carta del Carnaro e la Lega dei Popoli oppressi, altra intuizione di d'Annunzio, rappresentano snodi che aggirano la mitologia fascista e proiettano suggestioni sul lungo periodo, aprendo convincenti prospettive comparative con esperienze della seconda metà del Novecento, la decolonizzazione e il Sessantotto. Il tentativo di imporsi sull'immaginario attraverso la forza dell'utopia e della narrazione costituisce infatti la vera eredità a lungo termine dell'impresa dannunziana. Nell'Italia del secondo dopoguerra, il mondo culturale e quello politico considerarono la Carta impresentabile quanto il suo autore. Soltanto alcuni studi letterari e giuridici ne riconobbero l'unicità storica. Un giudizio equilibrato e ancora valido è quello di Alberto Asor Rosa, che nel 1978 ha dimostrato come esprimesse la «tensione di rottura istituzionale» di gran parte del pensiero politico del tempo, la tendenza a soppiantare lo Stato liberale con «soluzioni organiche, fondate su di un oculato controllo istituzionale dei rapporti fra le varie classi». È però un errore limitarla a mera espressione dell'epoca: la Carta del Carnaro era all'avanguardia, colse grandi questioni sociali che si trovavano allo stato embrionale e che avrebbero poi caratterizzato la lotta politica e sociale del Novecento. Oggi si è più disposti a riconoscere l'attualità della Carta, per la sua apertura democratica e per l'avanzata spregiudicatezza di molti suoi assunti centrali. L'autonomia amministrativa, la parità tra i sessi, la libertà di coscienza, la laicità dello Stato, il taglio ai costi della politica, la revocabilità del mandato, la tutela del lavoro, la possibilità per tutte le categorie di tenere assemblee e avere propri rappresentanti, l'eleggibilità di ogni cittadino sono temi che la costituzione fiumana offrì a un mondo che si era appena risollevato da una catastrofe: sono diritti-opportunità che quel mondo scoprirà soltanto dopo avere sconfitto i totalitarismi. Proiettarsi nel futuro era lo scopo di d'Annunzio quando decise di dedicare la sua arte a un manifesto per la società ideale. Voleva raccogliervi la straordinaria ansia di novità, di cambiamento, l'attesa di una società diversa e migliore che aveva spinto tanti giovani e vecchi rivoluzionari a unirsi a lui.
Poco gli importava che la Carta fosse irrealizzabile, rifiutata, o mai applicata, come dichiarò a un giornalista austriaco: a lui importava che fosse e rimanesse «un esempio a tutto il mondo dell'aspirazione di un popolo e di un gruppo di spiriti». Così è, infatti.
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