Autori, pittori e libri raccontati à la Bernardi

"Le brevi attenzioni" raccoglie articoli capolavoro che attraversano decenni di cultura e di pensiero

Autori, pittori e libri raccontati à la Bernardi

Chroniqueur littéraire, cronista letterario, è la definizione che Giuseppe Bernardi dà di sé stesso e del suo lavoro in Le brevi attenzioni (Canova edizioni, 437 pagine, 25 euro), un'ampia selezione di saggi in forma di articolo da lui scritti negli ultimi decenni e che spaziano dalla letteratura anglosassone a quella francese e italiana, dalle mostre d'arte moderna a contemporanea, Hirst, Bacon, Dalì, ai profili di pittori e di critici illustri del passato, Caravaggio, Hogarth, Goya, Ruskin... Nello spiegare il perché di quel titolo, con understatement l'autore ne sottolinea l'aspetto, come dire di servizio, ovvero la messa a disposizione, per il lettore che ne possa essere interessato, di un'informazione culturale rapida e puntuale, ma anche caduca e per certi versi effimera, come si conviene a chi ne prende conoscenza mentre sul tavolo dove sta facendo colazione sfoglia il quotidiano che la ospita, un po' come il settecentesco Ritratto di gentiluomo, di Henry Walton che proprio in quella copertina campeggia: «È tornato forse da poco dalla galoppata mattutina e, con il breakfast, ha trovato il giornale cui egli sta riservando qualche momento, ma abbandona di buon grado la lettura e posa per il pittore, che ama cogliere l'istante». In quel ritratto, vale la pena di aggiungere, c'è anche molto di ciò che per tutta la sua è stato ed è Giuseppe, Bepi, Berardi, un signore distinto e di buone maniere, veneto di nascita, marca trevigiana per la precisone, ma anglomane con discrezione: giacche di tweed, colori sobri, eloquio garbato...

Scritti servili si intitolava del resto una raccolta di saggi di Cesare Garboli e in quell'aggettivo c'era un po' il senso di una sudditanza del mestiere del critico rispetto al soggetto della critica stessa, ovvero l'autore, poeta o romanziere che fosse, nonché al lettore cui si rivolgeva. Era anche una forma di civetteria, perché la saggistica in Italia, da Cecchi a Macchia, da Praz allo stesso Garboli, ha spalle sufficientemente forti da non temere alcun confronto d'autore... Ho messo il verbo avere al presente, ma sarebbe meglio coniugarlo al passato, perché, tranne le poche eccezioni che, si sa, confermano la regola, anche qui la decadenza pare essere inarrestabile, accentuata non tanto o non solo dalla crisi, altrettanto inarrestabile, della carta stampata, ma dal rarefarsi se non proprio dallo scomparire di chi sulla stampa se ne faceva garante, nelle vesti di critico come in quelle di cronista letterario, sostituito sui social da un profluvio di lettori fai da te, che pontificano in base all'ignoranza del proprio io, e da una pletora di giornalisti culturali senza arte né parte, con l'aggravante di un italiano primitivo. Sotto questo profilo Bernardi è un po' uno degli ultimi Mohicani di un mestiere un tempo nobile e che lui ha avuto la fortuna di praticare quando, parafrasando il titolo di uno scrittore che gli è caro, Evelyn Waugh, era ancora un piacere: il piacere della citazione giusta, del repêchage d'autore appropriato, della mostra da non perdere, della novità da cui lasciarsi sedurre, dell'accostamento non peregrino, della prosa ben scritta. Del resto, oltre che chroniqueur (a lungo anche qui al Giornale, in epoca montanelliana, e poi alla Voce, di nuovo al Giornale di Vittorio Feltri e in seguito in Rai), Bernardi è stato un traduttore di lungo corso, nonché un dirigente editoriale, Il Saggiatore, Mondadori, e insomma mestiere e passione sono stati tutt'uno con la sua vita.

È difficile dar conto degli oltre cento pezzi raccolti in Le brevi intenzioni, tanto ricchi e vari sono gli interessi dell'autore. Un primo filo rosso che se ne può cogliere ha a che fare con una sorta di itinerario personale su cui vale la pena soffermarsi. Prendiamo Giovanni Comisso, trevigiano come lui, e che Bernardi ha avuto occasione di frequentare, ricevendone, ancora giovane e autore di «poche poesie dalla rarefatta atmosfera cinese e qualche racconto eccessivamente kafkiano», consigli di vita e di scrittura: «No, per viso s'intende questo», diceva passandosi una mano davanti agli occhi, «mentre il volto è tutto». Un loro ultimo incontro al ristorante di Treviso L'Oca Bianca, è tinto di malinconia tristezza: «Il suo sguardo che ricordavo un po' folle, sembrava annebbiato, attraversato da un pur spavaldo smarrimento. Il su anelito di freschezza, il suo bisogno di un'Arcadia innocente stavano cedendo il passo al plumbeo velo della noia senza speranza».

Oppure si prenda una sociologa come Elisabeth Abbott, le sue categorie maschili e femminili espresse in un saggio dal titolo Storia delle altre, la sua identificazione dei primi anni Sessanta con la rivoluzione sessuale: «La vita è troppo complessa per essere schematizzata e inscatolata come in una rubrica di osservazioni sull'evoluzione cadenzata dei costumi. Non esistono degli spartiacque con un prima e un dopo Mary Quant, un prima e un dopo Bob Dylan; infine, la gente d'ogni epoca e luogo è come se fosse sempre più in là e più avanti delle categorie che in seguito, facendo presunta storia, si tende ad applicare loro».

In ultimo si prenda Londra, la Londra raccontata da Peter Ackroyd o da E.F. Benson, quella dei pittori di Camden Town e del gruppo di Bloomsbury, ma da Bernardi fatta magicamente rigalleggiare grazia alla propria esperienza biografica: «Ricordo ancora quando, arrivato in volo col vecchio Comet all'alba, Londra mi apparve misteriosamente familiare. Eppure, come potevano appartenermi quelle strade sconosciute? (...). Come mi era così naturale, così pertinente, attraversare quartieri mai visti? (...). Avevo forse fatto il tipografo da quelle parti in un'altra vita, ero stato forse un pennivendolo di Grub Street? Divenne evidente col tempo che quelle non erano fantasie di un giovane anglomane, perché Londra aveva lasciato e lascia in chiunque limpressione di essere a casa, di trovarsi dentro un grande corpo vivo, che lo accoglie, digerisce, inghiotte e trasforma».

Sotto questo aspetto, del resto, Le brevi attenzioni è una lunga lettera d'amore alla letteratura d'oltre-Manica, ai suoi classici, da Chaucer a Shakespeare, da de Foe a Dickens, a Thackeray, tutti oggetti di veloci biografie e pertinenti considerazioni. Ma ci sono anche gli outsiders come George Orwell, nel cui 1984 Bernardi trova la conferma che «l'unica utopia possibile è la letteratura. Se non si riesce a capire che proprio nella difesa del passato, del patrimonio della memoria e della letteratura sta l'ultimo baluardo dell'umanità contro la disumanizzazione, allora sarà davvero il trionfo del Grande Fratello». O come Louis Stevenson, di cui, giustamente il tema del Doppelgänger che ne attraversa l'opera, da Lo strano caso del Dottor Jekyll e Mister Hide sino al Signore di Ballantree viene individuato «nella malattia fin dall'inizio nutrita in petto, parafrasi drammatica di una duplicità connaturata nella personalità umana» e con la quale lo scrittore sarà costretto a giocare «la partita a scacchi della vita». O come Oscar Wilde, di cui, rovesciando quello che da battuta wildiana si era trasformato in luogo comune, Bernardi osserva che «fu prima un grande scrittore e poi un personaggio, la cui vita fu arte solo nella misura in cui coincise con l'arte della sua scrittura».

Fra le pagine italiane di Le brevi attenzioni, Giulio Cesare Croce, Tommaso Garzoni, Dossi, Antonio Martini, la Roma di Sisto V e la biblioteca Marciana di Venezia, ci piace indicare, a mo' di chiusura, quel ritratto del Sironi fascista, la cui arte fu il frutto di «una sorta di alleanza e si potrebbe dire di quasi strana complicità» che «contraddistinse il fascismo italiano verso la molteplicità di forme artistiche che agirono nel Ventennio, un atteggiamento del tutto diverso dal regime sia tedesco sia sovietico». Fascista Sironi lo fu sino all'ultimo: «Il 24 aprile fuggì da Milano mentre in città entravano i partigiani. Arrivò a piedi sino al lago di Como, pare portando in braccio il suo cane per tutto il percorso, ma, arrivato a Dongo, fu catturato.

Mentre il gruppo di fascisti venia condotto al luogo della fucilazione, uno dei partigiani lo riconobbe e lo fece uscire dalla fila. Questo partigiano era un giovane scultore, Andrea Cascella». Le brevi attenzioni che salvano la vita.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica