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C’è anche il no italiano al Mes dietro le barricate tedesche e la ritirata di Deutsche Bank

Quella tentazione di Bruxelles di subordinare le nozze all’ok del governo al fondo Salva-Stati

C’è anche il no italiano al Mes dietro le barricate tedesche e la ritirata di Deutsche Bank
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Tra Unicredit e Commerzbank c’è di mezzo il Mes (e gli scheletri nei caveau di Deutsche Bank), sebbene chiunque capisce che le nozze tra la seconda banca tedesca e la seconda italiana potrebbero innescare un circuito virtuoso nella direzione dell’auspicata Unione bancaria. Il punto è che all’Europa il no dell’Italia alla ratifica del nuovo trattato sullo European stability mechanism (Mes per brevità) brucia ancora, tanto che nei giorni scorsi è arrivato l’ennesimo appello a Giorgia Meloni dalla Commissione economica dell’Europarlamento: «La riforma del Mes accettata da 20 Paesi su 21 va finalizzata quanto prima», ha detto Dominique Laboureix, presidente del Single resolution board. Senza il sostegno del Mes, in caso di banche sull’orlo del crac, «avremo meno capacità dal punto di vista della liquidità necessaria per frenare la valanga», è il suo ragionamento.

Ma il Mes, nato come Fondo Salva-Stati, cosa c’entra con le banche? C’entra. Tra le nuove caratteristiche figura infatti il cosiddetto backstop comune (una sorta di paracadute) del Fondo europeo di risoluzione bancaria. In pratica, con i suoi teorici 705 miliardi (80 miliardi già versati) il Mes sarebbe il prestatore di ultima istanza e anticiperebbe la liquidità necessaria per salvare le banche di sistema con un bail-in, senza inguaiare i conti pubblici, come invece è successo in Italia per il salvataggio di Mps o delle banche venete.

Ebbene, di là del via libera a Uni-Commerz di Bce e Bundesbank, la moral suasion esercitata su Deutsche Bank per contrastare Unicredit, nascosta in alcune dichiarazioni «protezioniste» di illustri esponenti Ue, è la prova che non solo a Berlino ma anche a Bruxelles e Parigi, c’è chi pensa che quelle nozze vanno fermate, almeno finché l’Italia non cambia idea sul Mes. A temere maggiormente da una situazione di instabilità sono proprio le banche tedesche e francesi, soprattutto dopo i dati sugli Npl e il crollo di Credit Suisse che ha fatto tremare mezza Europa (non le banche italiane) per il rischio di contagio. Tanto che il direttore del Mes, Pierre Gramegna, è perennemente preoccupato per la volatilità del mercato dei derivati, «irrazionale e ipersensibile» (analisi di Citigroup), convinto che il rischio che corrono le banche tedesche e francesi sia sottovalutato.

Ma se l’Italia resta contraria al Mes perché in questa fase non sente aria di minacce finanziarie, è anche vero che è proprio la Germania la nemica numero uno dell’assicurazione comune dei depositi bancari che ostacola l’Unione bancaria. E qui entra in gioco Deutsche Bank, alle prese con qualche problema di troppo legato alla quantità di pericolosi credit default swap tuttora detenuti, che proprio per questo si tira indietro nonostante l’autorevole pressing. Insomma, nonostante i 240 miliardi di soldi pubblici iniettati nel sistema bancario tedesco dal governo di Berlino, tuttora la prima banca del Paese non si sente in grado di sostenere una battaglia in difesa dell’autonomia della sorella minore.

Per questo, di là delle sceneggiate di maniera della politica locale sul mantenimento della sovranità finanziaria, un matrimonio tra la debole Commerzbank e la solida Unicredit farebbe un gran bene anche al sistema tedesco. Mes o non Mes.

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