Transizione energetica

L'ultimo regalo Ue a Francia e Germania: cosa c'è dietro le "case green"

La direttiva Ue sulla casa sembra scritta in funzione di Francia e Germania. Ma l'Italia può giocare la sua partita senza timori reverenziali

L'ultimo regalo Ue a Francia e Germania: cosa c'è dietro le "case green"

Se la direttiva europea sulla casa "green" diventerà realtà l'Italia rischia una stangata rispetto a Francia e Germania. Un numero di case tra i 3,1 e 3,7 milioni sarà potenzialmente interessato da qui al 2023 dagli effetti della direttiva dell'Unione europea sull'efficienza energetica degli edifici che il governo di centrodestra chiede di rivedere, secondo fonti della Commissione. Non si tratta, purtroppo, di una novità: Germania e Francia sanno plasmare a loro piacimento le normative europee. E l'Italia del governo Meloni dovrà, in futuro, saper fare altrettanto.

Perché la direttiva favorisce Francia e Germania

Per l'Associazione Nazionale Costruttori Edili (Ance), potrebbero essere addirittura 9 milioni di immobili, il 60% del patrimonio nazionale. Il timore è che le case di classe energetica G siano espulse dal mercato e che per quelle di classe F e E si prevedano interventi colossali. La normativa sembra essere costruita ad uso e consumo di Francia e Germania, che da un decennio hanno spinto sull'efficientamento energetico degli edifici e sono al 17 e 7%, rispettivamente, di necessità. Contano, in quest'ottica, le diverse dinamiche del mercato: in Italia buona parte dei cittadini è proprietario di casa, mentre in Francia e Germania l'utilizzo del sistema degli affitti porta la proprietà a concentrarsi in mano alle società di real estate che, chiaramente, hanno avuto più tempo e più fondi per dare priorità all'efficienza.

"Dei 222 miliardi di euro di investimenti del Pnrr, 107,7 miliardi (quasi la metà, il 48%) riguardano il settore delle costruzioni e sono destinati interamente ad accompagnarlo verso la rivoluzione verde e digitale delle infrastrutture", ha scritto Il Sole 24 Ore. Nuovi interventi di tale profondità sono difficili da immaginare. E anche se in un primo momento l'obiettivo di trasformazione "verde" delle case riguarderà soltanto il 15% degli immobili meno efficienti, per Roma la spesa necessaria rischia di essere molto maggiore a quella di Francia e Germania. Per portare tali immobili alla Classe E entro il 2033 si prevede un esborso di quasi 60 miliardi di euro, di cui 40 destinati al residenziale. E non si tratta del primo esempio di norme dell'Ue che favoriscono Francia e Germania in maniera smaccata.

Francia e Germania favorite? Non solo sulla casa...

Pensiamo a un caso recente, il piano di nuovi allentamenti agli aiuti di Stato in via di discussione per la gestione della risposta europea all'Inflation Reduction Act americano. Che hanno avuto in Giorgia Meloni una forte critica. Il premier italiano non è diventato un "falco" rigorista, ma ragiona per pragmatismo.

Nel 2022, su oltre 670 miliardi di euro di aiuti di Stato approvati il 53% era imputabile alla Germania, il 24% alla Francia e solo il 7% all'Italia. Aprire ora a nuovi allentamenti, come successo durante il Covid-19, modificando però le regole su debito e bilancio, riportandole all'epoca pre-pandemica, creerebbe una distorsione favorevole a Francia e Germania. Le quali in virtù del minor debito pandemico accumulato potrebbero gestire nuovi spazi di manovra inaccessibili all'Italia.

Preoccupa”, ha dichiaratoo Meloni nella sua recente visita ad Algeri, “che l'Ue pensi di poter risolvere il problema della scarsa competitività delle nostre aziende, anche a fronte degli ingenti investimenti degli Usa alle loro aziende, solo con un allentamento della normativa sugli aiuti di stato. Determinerebbe una distorsione del mercato interno”. Destinata a favorire i soliti noti: Parigi e Berlino.

L'Europa bancaria a trazione franco-tedesca

Da non sottovalutare anche la riforma della soluzione delle crisi bancarie che prevede esplicitamente, a partire dal 2016, che a dover pagare per il piano di risanamento di un sistema bancario in crisi iaono gli azionisti della banca stessa e i possessori di titoli di capitale.

Il diavolo sta nei dettagli: la Commissione Europea di Jean-Claude Juncker, nel 2016, assieme al Commissario agli Affari Economici Pierre Moscovici negoziò una normativa in cui il motivo scatenante per la risoluzione potevano essere, in primis, i crediti deteriorati detenuti dalle banche. Un problema evidente per le istituzioni finanziarie italiane, meno per i colossi franco-tedeschi oberati da derivati tossici e prodotti simili, che hanno zavorrato fino al Covid-19 i loro bilanci. Un fatto che le banche italiane hanno pagato duramente, con la crisi del 2016-2018 in cui sono affondate Popolare di Vicenza, Carige e Mps.

Il nodo nomine

Un altro fronte importante è quello delle nomine, spartite dal duo di testa dell'Ue con poca attenzione all'Italia. Un dato che testimonia una politica europea plasmata attorno Parigi e Berlino. Prendiamo il caso Meccanismo europeo di stabilità (Mes), la cui riforma è stata a lungo contestata ed è ritenuta problematica da Giorgia Meloni. Nel frattempo, il Mes si è strutturato come organizzazione internazionale il cui consiglio di amministrazione è centrato su Parigi e Berlino. Klaus Regling, direttore del Mes, è tedesco. Nel cda ci sono in totale tre francesi, due tedeschi e nessun italiano.

Nel 2020, a tal proposito, su Inside Over sottolineavamo che "il fondo salva-Stati è un’assicurazione sulla vita all’asse franco-tedesco, non tanto per le sue disponibilità finanziarie concrete quanto per la sua natura di punto di contingenza degli equilibri economici dell’Unione Europea".

Sulle nomine, Parigi e Berlino sono usi scambiarsi le cariche apicali. Dopo l'uscita di Mario Draghi alla Bce, l'unica carica rimasta all'Italia è stata, fino alla sua morte, la presidenza del Parlamento Europeo affidata a David Sassoli dal 2019 al 2022. Mentre nel frattempo Parigi e Berlino facevano incetta di nomine: oltre a Regling, la Germania ha la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e il direttore della Banca europea degli investimenti, Werner Hoyer. La Francia ha Christine Lagarde, presidente della Bce, assieme a Thierry Breton, super-commissario all'Industria.

Anche sulla casa nulla è perduto

Questi esempi impegnano l'Italia a giocare attivamente la sua partita per chiedere un allentamento alla direttiva sulla casa, specie alla luce delle critiche della Bce per i rischi di uno sconvolgimento del mercato immobiliare.

Una volta di più, l'Italia si trova a pedalare in salita. Ma nulla è perduto, almeno per ora. A patto di giocare con sagacia e furbizia la partita europea. Casi come quelli della direttiva Nutriscore, l'etichetta allimentare "a batteria" annacquata nella sua natura vincolante dall'Europa anche dopo i pareri critici dell'Italia, che la riteneva penalizzante per il suo mercato alimentare, mostrano che partendo da critiche politiche e facendo squadra come sistema-Paese si può incidere. L'Efsa nel 2022 ha indicato il profilo nutrizionale dell'intera dieta, come può essere quella mediterranea, e non quello dei singoli alimenti, come il più importante fattore di una buona salute. Togliendo dunque terreno alla visione franco-tedesca.

L'Italia deve muoversi per emendare la direttiva delle sue parti prescrittive, negoziare costi più sostenuti e ricordare che Roma è già impegnata, a tutto campo, nella transizione energetica legata all'immobiliare. E non deve prendere lezioni da nessuno. Ma non può ritirarsi dal porre le sue richieste sul piano politico e progettare risposte con posizioni alternative: sia la Francia che la Germania hanno bisogno di un'Italia competitiva e in salute economicamente, e l'autorevolezza del governo si giocherà molto nella capacità di annacquare una normativa che va a assoluto beneficio di Parigi e Berlino.

E che in nessun caso può sfavorire Roma nelle misure indicate dall'Ance.

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