Diritto alla salute, l'efficienza dei macchinari e il rischio obsolescenza

Polygon è specilizzata nella manutenzione delle apparecchiature biomediche. Un servizio H24 svolto direttamente negli ospedali per ridurre i costi, aumentare la sicurezza e garantire la continuità delle prestazioni mediche

Armando Ardesi, amministratore delegato di Polygon
Armando Ardesi, amministratore delegato di Polygon
00:00 00:00

Dici obsolescenza (programmata o meno) e il pensiero corre ai nostri smartphone e pc. Ma il problema delle tecnologie che evolvono velocemente e delle aziende produttrici che spingono il mercato in una direzione per cui diventa più facile acquistare un nuovo apparecchio piuttosto che ripararne uno vecchio riguarda un po’ tutti i settori.

Anche quello sanitario. Nel quale, considerati i costi delle apparecchiature più sofisticate, per le quali si arriva tranquillamente a ragionare su grandezze di milioni di euro, e considerati i tagli al Servizio Sanitario Nazionale dello scorso decennio, spesso la mancata manutenzione o la non riparazione rischia di tradursi nel fermo della macchina e nella mancata erogazione delle prestazioni previste. Basti pensare che, secondo l’Osservatorio della Fondazione Gimbe, “tra il 2010 e il 2019, tra minori entrate e tagli” il finanziamento pubblico alla sanità è stato decurtato di 37 miliardi di euro.

Come gestire in maniera più efficiente gli apparecchi biomedici

È questo il contesto nel quale opera Polygon S.p.A, azienda con sedi a Milano e Roma, ma attiva su tutto il territorio nazionale, oltre che in Spagna e Gran Bretagna. Con clienti come l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, la Fondazione IRCCS Cà Granda di Milano, la Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza e l’Azienda Ospedaliera Universitarie Città della Salute e della Scienza di Torino, giusto per citarne alcune, Polygon - circa 130 milioni di euro di fatturato in costante crescita, un operato validato da ben 8 certificazioni di qualità e più di 570 dipendenti - è tra i principali attori nell’installazione, gestione, manutenzione e riparazione di apparecchiature biomediche e di diagnostica per immagini. Con oltre 500mila dispositivi gestiti, più di 20mila collaudi e un milione di interventi eseguiti all’anno, ha contribuito alla nascita e allo sviluppo di un modello di gestione con la formula del Global Service, per cui un soggetto si occupa di tutti gli aspetti che riguardano la tecnologia in ospedale.

In Italia 37mila apparecchiature a rischio pensionamento

Un settore relativamente giovane, ma che si sta sviluppando molto rapidamente. Se un tempo le strutture sanitarie dovevano rivolgersi all’assistenza esterna dei singoli produttori per la manutenzione o riparazione delle apparecchiature, ora tali servizi vengono somministrati con personale dislocato direttamente nelle singole realtà.

Un modello che ha consentito di ridurre la spesa in media del 30% e che ha garantito la permanenza in servizio di macchinari che altrimenti avrebbero corso il rischio di essere pensionati e non necessariamente rimpiazzati. In Italia, infatti, sono quasi 37mila le apparecchiature di diagnostica per immagini non più in linea con l’attuale livello di innovazione, il cui funzionamento garantisce però ancora prestazioni accurate che altrimenti rischierebbero di non essere erogate.

Nuovi ospedali: il 50% dei costi è legato alla tecnologia

“Oggi l’età media del parco tecnologico presente nelle strutture sanitarie del nostro Paese è molto elevata, ma questo non significa che l’apparecchiatura debba necessariamente essere sostituita”, spiega Armando Ardesi, amministratore delegato di Polygon. “Se così fosse, dovremmo sostituire in blocco gran parte del parco installato nei nostri ospedali. Invece, la sostituzione è necessaria quando la prestazione che è erogabile con l’utilizzo di tale apparecchiatura non è più in linea con gli standard di cura o l’apparecchiatura ha subito un degrado tale da non essere sufficientemente sicura e funzionale”.

Un’eventualità che si cerca di posticipare sempre di più, anche in un’ottica di Green Economy e sostenibilità. Riparare, infatti, significa non dismettere e, di conseguenza, non aumentare il livello di rifiuti prodotti a livello mondiale.

“Nelle strategie dell’Unione Europea, molte direttive insistono ormai sul tema del Right to Repair, che si fonda su tre direttrici: limitare l’impatto ambientale tout-court, riducendo la produzione di rifiuti, disincentivare il proliferare di logiche consumistiche che spingono le aziende produttrici a immettere sul mercato prodotti a obsolescenza programmata, preservare il mercato dell’assistenza post garanzia da rialzi di prezzi tipici dei contesti monopolistici”, spiega Ardesi. E se si pensa che ormai quasi il 50% dei costi per realizzare un nuovo ospedale è legato alla tecnologia, è evidente perché riparare rappresenti spesso l’unica opzione percorribile.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica