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Drogano il mercato poi attaccano l'Italia: l’ipocrisia delle compagnie aeree

Le compagnie aeree europee attaccano Roma. Ma la questione degli algoritmi è nota e da tempo le aziende di trasporto aereo ricevono contributi pubblici, ma hanno comunque alzato le tariffe

Drogano il mercato poi attaccano l'Italia: l’ipocrisia delle compagnie aeree

La lettera dell'associazione di categoria Airlines for Europe di cui è stato pubblicato uno stralcio sul Financial Times contro il decreto di "calmiere" sugli algoritmi che dettano il prezzo dei voli promosso dal governo Meloni ha rafforzato lo scontro tra l'Italia e le maggiori compagnie aeree europee, a partire da Ryanair.

Roma, lo ricordiamo, ha criticato l'estremizzazione della pratica del dynamic pricing che personalizza il costo di ogni volo nelle ricerche online dei biglietti con la quale le compagnie aeree "sfruttano tutte le informazioni che le compagnie aeree hanno a disposizione. Il prezzo dei biglietti viene definito sulla base di istruzioni note a poche persone: gli analisti interni e i programmatori che rendono operativi questi sistemi", come ha ricordato a IlGiornale.it il professor Marco Camisani Calzolari. Le compagnie hanno però ventilato una minaccia alla libertà del mercato, oggi testimoniata a loro dire dalla scelta di condizionare di fatto le pratiche di formazione del prezzo.

Nella loro lettera alla Commissione Europea vista dal Ft le compagnie di Airlines for Europe (A4E) usano toni durissimi. "Siamo fortemente preoccupati che se questa legge verrà adottata, potrebbe creare un precedente e portare a un effetto domino con conseguente adozione di regolamenti simili in altri Stati membri dell'Ue", ha scritto l'amministratore delegato di A4E Ourania Georgoutsakou, firmataria della missiva. Limitare le tariffe che gli algoritmi prevedono capaci di alzare fino al 200% sui prezzi medi, per il capo di A4E "violerebbe i diritti delle compagnie aeree "di competere ove possibile, fissare i prezzi e definire i servizi come meglio credono". Una presa di posizione che da un lato fa trasparire imbarazzo, perché l'idea che altri Paesi possano seguire l'Italia segnala l'esistenza di un problema reale, e dall'altro dimentica i temi della gestione del mercato aeronautico in Europa.

Le pratiche ben documentate di uso degli algoritmi di profilazione entro tutti i limiti consentiti dalla legge per targettizare al meglio il prezzo per ogni singolo utente sono state ritenute dal governo eccessivamente penalizzanti della clientela finale e dei consumatori che oggi per quegli stessi algoritmi vedono precluse le vacanze a prezzi accessibili, in un circolo vizioso che cagiona un danno anche all'economia e all'indotto.

Il governo non ha multato o punito con tasse ulteriori le compagnie: ha piuttosto varato una norma che entrerà gradualmente in vigore e non cambia dall'oggi al domani la questione, ma crea la necessità di adattare il sistema a una concorrenza maggiormente gestibile e trasparente nell'interesse primario dei consumatori. E vuole chiedere alle compagnie aeree quella responsabilità oggi apertamente invocata dopo anni in cui lo stesso mercato aeronautico è stato apertamente dopato con contributi pubblici alle stesse compagnie.

Il governo non sta dicendo che le compagnie aeree hanno compiuto un atto illegale con la loro pratica, ma ha piuttosto chiesto di mettere dei paletti a un meccanismo che più che al libero mercato sembrava rispondere al principio anarchico della "libera volpe in libero pollaio" con un mercato dopato in cui da un lato le compagnie aeree massimizzano i profitti sui voli, senza redistribuire sui consumatori i surplus, e dall'altro però godono dei vantaggi dati dall'ampiezza dei sussidi pubblici. Nel 2020 il Corriere della Sera calcolava in 1,2 miliardi di euro gli incentivi ricevuti dalle compagnie, soprattutto low cost, per aprire hub negli aeroporti italiani e garantire collegamenti a prezzi non eccessivi. Incentivi spesso legati a contributi di società a controllo maggioritario dell'attore pubblico. Nel 2021 si sono aggiunti ulteriori 500 milioni di euro, mentre nella sua fase finale, lo scorso anno, il governo Draghi aveva iniziato a porre dei paletti chiedendo alle compagnie di garantire collegamenti con i maggiori hub territoriali (Milano, Roma, Venezia) in cambio dei sussidi.

Il governo Meloni si inserisce in un tentativo già avviato di regolamentazione degli eccessi di un sistema che non è contra legem ma sta iniziando a far sentire tutto il suo peso per i consumatori, come ha fatto intendere il Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso rispondendo agli attacchi del Ceo di Ryanair, Eddie Wilson, che aveva ventilato l'addio all'Italia. Urso ha ricordato che, volenti o nolenti, le compagnie aeree non possono fare a meno dell'Italia: "L'Italia è il primo mercato della compagnia, il più appetibile d'Europa. Se taglieranno rotte, le riempirà qualcun altro. Mi chiedo solo se gli azionisti di Ryanair sono della stessa opinione".

La mossa del governo ha voluto rendere più gestibile e chiara per i consumatori e i loro diritti la concorrenza tra compagnie, per evitare che si riduca a un "uno contro uno" tra potenziale acquirente del volo e piattaforma online di gestione dei biglietti e che il periodo delle vacanze si traduca, di fatto, in una corsa all'estrazione di valore e risorse dai cittadini. Già ampiamente colpiti dall'anarchica crescita di prezzi e inflazione in molti settori.

E che non possono subire anche i rincari in un settore ove la mano pubblica a sostegno si è, nel tempo, ampiamente vista.

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