
Ieri Mfe, la holding che controlla Mediaset in Italia e Spagna, ha rilanciato su ProsiebenSat. La tv commerciale tedesca di cui già detiene poco più del 30 per cento. Nelle settimane scorse, a sorpresa, i cechi di Ppf si erano messi di traverso con una loro scalata parziale sul 30 per cento della società tedesca. Pier Silvio Berlusconi ha deciso di non mollare, anzi di rilanciare. Con la mossa di ieri, se l'offerta italiana venisse accettata da tutti impegnerebbe 1,4 miliardi, di cui circa 730 cash e il resto in azioni (con diritto di voto attenuato) di Mfe. Si tratta di un premio di circa il 23 per cento sulle ultime quotazioni di Borsa e sull'opa dei cechi. Se così rimanessero le cose, non ci sarebbe un buon motivo per non conferire le proprie azioni a Mfe e diventare azionisti di un gruppo europeo. Sarebbe un bel colpo per l'industria italiana, ma anche per il mercato europeo che vedrebbe così nascere un giocatore globale. Non si tratta in questo caso di una formula vuota: immaginate cosa voglia dire un solo acquirente di diritti di trasmissione televisiva su tre grandi Paesi, solo per citare una sinergia immediatamente raggiungibile.
Pier Silvio Berlusconi rilancia perché vede una forte valenza industriale a questa operazione: la tv commerciale deve avere una dimensione più ampia dei confini nazionali. Mediaset è, come dicono gli analisti, una best practice: applicarla anche in Germania creerebbe valore.
Restano alcune questioni. La prima è comprendere il motivo della «scalatina» dei cechi sul 30%, dopo che Mfe ha lanciato un'opa totalitaria. Ci sono solo due risposte possibili.
La prima è che hanno intenzione di contare, di avere un ruolo nel futuro della Prosieben «mediasettizzata». Beh, per una conglomerata che deve la sua fortuna alle privatizzazioni (ha 45 miliardi di asset che vanno dalle Telco alle assicurazioni, dalle banche alle ferrovie) e che possiede sei piccoli canali televisivi che non fanno il 5 per cento dei suoi attivi, si tratta di un'ambizione mal posta. Dal punto di vista industriale. Meno da quello puramente negoziale.
C'è una seconda risposta. Tatticamente i cechi, se dovessero conquistare il 30 per cento di Prosieben, poi avrebbero tempo per riconferirlo all'Opa Mfe. Così si troverebbero in mano il 4 per cento della Holding che controlla Mediaset. In questo scenario di «fantafinanza» potrebbero sommarlo al 20 per cento dei francesi di Vivendi (o potrebbero persino acquistarlo). Il totale però (24 per cento) non impensierirebbe Fininvest, che con il suo 48 per cento resterebbe dominus del governo societario. Tutto ciò dipende dalla brillante idea di costruire Mfe con azioni con diritti di voto diversi. Quando anche in Italia il codice commerciale si sveglierà, smetteremo di vedere società che vanno ad Amsterdam per godere di questi strumenti, pur continuando a pagare le tasse in Italia. Ma questo è un altro discorso.
Insomma, il rilancio di ieri mantiene il coltello dalla parte del manico per gli italiani. Ma c'è un segnale fondamentale che dà il tono di tutto lo spartito: che è finanziario, ma che si regge su una fortissima idea industriale.
La questione del cash. I cechi pagano tutto in cash. Gli italiani parte in cash e parte in azioni Mfe. Anche nel rilancio si sono tenuti la cassa intatta. Mfe infatti ha già sottoscritto linee di credito (allargabili alle posizioni Prosieben) per 3,5 miliardi. E come visto, se la scalata dovesse avere pieno successo, metterebbe sul piatto 729 milioni. Non è un mistero che la televisione tedesca debba essere rimessa a posto: «Non è un gioiellino». Fonti vicine a Pier Silvio, grande regista di questa operazione, sostengono «che sia necessario investire ancora molto nei contenuti». Il ragionamento degli italiani è lineare: chi crede al nostro progetto si porta a casa azioni e titoli che si valorizzeranno non appena Prosieben inizierà a volare grazie ai nuovi investimenti sui contenuti che faremo. Insomma il cash serve eccome: ma per investirlo direttamente in tv.
Terza ed ultima considerazione. Dal punto di vista industriale e delle risorse messe sul tavolo non c'è dubbio che la scalata italiana sia imbattibile. Ma questa operazione, nella visione di Pier Silvio, ha anche un significato più generale: è in controtendenza rispetto allo shopping straniero nel nostro Paese. Questa volta un'azienda italiana con coraggio e con le sue sole risorse va all'estero in un mercato strategico e difficile come quello tedesco.
Resta da capire il sistema Paese. La Germania dai tempi di Pirelli su Continental per finire con Unicredit su Commerzbank, non è un terreno semplice. Le cose non sono immutabili. Solo un paio di anni fa Ariston ha realizzato una bellissima acquisizione in Germania da circa un miliardo di euro. Il cancelliere Merz e Giorgia Meloni hanno un rapporto ben superiore a ciò che si possa mostrare in pubblico: i socialisti in Germania non lo vedrebbero di buon occhio.
La scalata di Mfe su Prosiebensat sarà una cartina di tornasole di quello che a chicchere in tanti raccontano in questi giorni: i cosiddetti dazi interni. Non c'è infatti ragione economica, industriale e finanziaria, per cui questo matrimonio non si debba fare. Se qualcosa dovesse mettersi di mezzo, sarebbe un'interferenza fuori dal mercato.
Se qualcuno invece
volesse lanciare un'opa alternativa a quella di Mfe su Prosieben, dovrebbe pagare cara la quota italiana. E Fininvest farebbe un mucchio di plusvalenze. Ma c'è da scommettere che non sia questo l'obiettivo di Pier Silvio.