
La biografia di Céline firmata da Maurice Bardèche (1907-98) offre l'opportunità di fare qualche riflessione sul mercato editoriale e sulla libertà d'espressione. Ma prima il libro, intitolato appunto Louis-Ferdinand Céline (Italia Storica, pagg. 322, euro 29). Chi cerca novità sulla vita dell'autore del Viaggio al termine della notte rimarrà forse deluso. In compenso troverà una lettura diversa del fenomeno "Céline", un misto di cinismo ostentato e di bontà (semi)nascosta. Céline è la rockstar di Bardèche, si colloca nel punto in cui lo scrittore tracima nell'esibizionismo dello stile e delle posizioni talvolta estreme. Esibizionismo indotto dalla necessità di giustificarsi per aver collaborato con i nazisti. Bardèche è titolato per offrire una interpretazione di questo tipo. Non solo e non tanto per essere stato un collaborazionista. Tra le altre cose, Bardèche si era inventato la critica cinematografica insieme con il cognato Robert Brasillach. Nel 1935 avevano pubblicato una pionieristica Histoire du cinéma. Il meccanismo dello star system è già delineato in quest'opera ancora interessante a 90 anni di distanza dall'uscita. Nel dopoguerra, Bardèche, arrestato e subito rilasciato durante l'epurazione, dedica la sua attività alla lotta contro il marxismo e alla riabilitazione del fascismo. Pubblica libri ustionanti. Ad esempio, un suo pamphlet metteva in discussione la legittimità morale e legale del processo di Norimberga. Bardèche finirà per essere considerato una fonte dei negazionisti dell'Olocausto, come scrive Wikipedia. Nel frattempo, il libro fu interdetto e fruttò all'autore una condanna a un anno di carcere (in Italia si trova con difficoltà: Norimberga o la terra promessa, Effepi, 2000). Bardèche propugnava un nazionalismo europeo non troppo distante, nelle espressioni, dalla propaganda nazista.
Non vogliamo certo essere gli avvocati difensori di Bardèche e tanto meno delle sue idee. Non è proprio il caso. Però Bardèche non si può liquidare come un povero fascista vittima della sua ignoranza. La sua critica spietata alla democrazia merita una riflessione. Fu pubblicata da un editore, Longanesi, che puntava al grande pubblico e non certo alla nicchia dei nostalgici. Nel 1949 uscì I servi della democrazia. Tre anni dopo arrivò L'uovo di Colombo: lettera a un senatore americano.
Cosa diceva Bardèche? Prendiamo I servi della democrazia. Ci attende un futuro senza frontiere e governi. Da un capo all'altro del continente saranno in vigore le medesime leggi: così è per i passaporti, per i giudici, per la moneta. Non saremo più i cittadini di una nazione, saremo "coscienze al servizio dell'umanità". Allora tutto si spiega: "Questa nozione di uno Stato universale che governa le coscienze è dunque il coronamento dei principi fin qui soltanto enunciati". Insomma, "ci era stato detto come prima cosa che ci era proibito riunirci per la forza e la grandezza della patria. Per seconda cosa, noi dovevamo abituarci a delegare una parte della nostra sovranità, l'essenziale, in virtù di una carta costituzionale del super Stato, la quale è stata concessa al mondo senza chiedere il nostro parere". Le differenze nazionali saranno a poco a poco eliminate. La legge internazionale si insedierà tanto più facilmente, in quanto la legge indigena non avrà più difensori. Tutte le nostre leggi sono leggi minori coperte in ogni caso dalla grande voce della coscienza universale (il più delle volte trasmessa per radio). E ancora: "L'unità dello Stato e l'esistenza dello Stato possono essere annullate ad ogni istante da una semplice bolla, e non esiste nulla, assolutamente nulla, fuori della voce che viene dall'alto". Tale voce "deve fare il suo mestiere di coscienza sino in fondo: bisogna che, come l'occhio di Caino, sia insediata nella tomba. Essa rappresenta lo sguardo di Dio, e perciò proibisce e fa tremare".
La coscienza non scrive niente, indica soltanto la linea da seguire: "Non è coercizione, non ci sono gendarmi, è soltanto un veleno nello Stato, una semplice infiltrazione che corrompe tutto. Non siete nemmeno minacciati; è la vostra voce stessa a minacciarvi, poiché la coscienza universale è tutti, e quindi anche voi". Gli Stati non saranno "più che circondari amministrativi di un solo impero. E da un capo all'altro del mondo, in città tutte eguali perché ricostruite dopo i bombardamenti, vivrà sotto leggi simili, un popolo bastardo, razza di schiavi indefinibile e cupa, senza genialità, senza istinto, senza voce. L'uomo disidratato regnerà in un mondo igienico. Immensi bazar echeggianti simboleggeranno questa razza a prezzo unico. Marciapiedi mobili percorreranno le vie, e trasporteranno ogni mattina a un lavoro da schiavi la lunga fila di uomini senza volto che la sera riporteranno indietro. Questa sarà la terra promessa".
Queste cose, giuste o sbagliate che siano, si potevano pubblicare in Italia a cavallo tra gli anni Quaranta e i Cinquanta. Oggi sono radioattive.
Qualcosa è cambiato: in meglio o in peggio? Non si tratta di comprendere e tanto meno giustificare. Si tratta di capire le voci realmente controverse. Prendiamole in esame, stronchiamole, discutiamone. Un tempo si poteva fare. Oggi il pensiero e l'editoria seguono la tendenza all'autocensura.