Basta un articolo del «Fatto» per mettere in crisi la giuria E a farne le spese è Elkann

L a paranoia anti-governativa si aggira per l’Italia. In queste ore ha fatto tappa in Veneto, al Premio letterario Campiello. L’oggetto dello scandalo, sembra incredibile, è il compassato Alain Elkann a causa del suo saggio/autobiografia Nonna Carla (Bompiani), fino a ieri finalista in pectore della manifestazione. Invece la nonna Carla è rimasta esclusa, ma pare non per «demeriti» letterari. E qualcuno (Philippe Daverio e Giordano Bruno Guerri) lo ha fatto notare pubblicamente nel corso dell’ultima votazione.
Tutto è legato a un articolo anonimo del Fatto quotidiano, inoltrato nei giorni scorsi dalla segreteria del Premio a tutti i giurati, caso mai non fossero abbonati al giornale diretto da Antonio Padellaro. Cosa è successo? Chiediamo lumi proprio a un giurato, il nostro Giordano Bruno Guerri: «Nelle prime tre votazioni il romanzo di Elkann aveva raccolto i sei voti buoni per entrare nella cinquina finale. Ieri invece ha raccolto un numero insufficiente di suffragi: la metà esatta». Cambiare opinione è legittimo... «Sì, ma nel mezzo c’è l’articolo del Fatto. E ho il sospetto che sia stato il motivo per cui è rimasto fuori il bel libro di Alain, a mio giudizio più meritevole di altri». Beh, non si direbbe un dramma. «No, ma l’articolo era offensivo, nella sua follia. Secondo l’estensore, credo imbeccato da una talpa interna alla giuria, Sandro Bondi avrebbe tramato nell’ombra per imporre in cinquina Elkann, consulente del ministero dei Beni culturali. Figuriamoci! Come se un ministro della Repubblica non avesse altro di cui occuparsi, e come se la giuria fosse composta da gente disposta a questi giochetti». Tu sei chiamato direttamente in causa. «Sì, perché al centro del complotto ci saremmo io, Giuseppe Tornatore e altri». Infatti, spiega l’anonimo che si firma Turlupin, molti giurati non potrebbero vivere senza l’elemosina del MiBac. Tornatore è un regista, quindi da «buon cineasta è alla continua, disperata caccia di finanziamenti pubblici». Guerri è presidente del Vittoriale, e fu candidato da Bondi. Riccardo Calimani, presidente del Museo della Shoah di Ferrara, «dipende dal ministero». Nicoletta Maraschio è alla guida dell’Accademia della Crusca «che non può sopravvivere senza contributi ministeriali». La collezionista d’arte Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, anima della omonima Fondazione torinese, «non può entrare in conflitto» con Bondi. Lo storico della lingua Gian Luigi Beccaria e il critico Lorenzo Mondo scrivono sulla Stampa, quotidiano «considerato assai vicino alla famiglia» di Elkann. (Gli altri giurati, fin qui non nominati, sono Domenico De Masi, Salvatore Silvano Nigro e Silvio Ramat).
L’istruttoria, molto più divertente di tutti i romanzi candidati al Campiello messi assieme, è finita. Per il Fatto le prove sono schiaccianti, la cricca dei (con)giurati è colpevole, Guerri e Daverio hanno perfino dichiarato di votare Elkann con maggiore convinzione dopo le chiacchiere di cui sopra. Si apra dunque Campiellopoli. Con questo metodo investigativo (o meglio intimidatorio) si potrebbero «incriminare» tutti i giurati di tutti i premi letterari del mondo, ma non importa.
Alla fine, entrano nella cinquina della XLVIII edizione del Premio i seguenti libri. Canale Mussolini (Mondadori) di Antonio Pennacchi all’unanimità, risultato mai visto prima d’ora. L’autobiografia Scintille (Feltrinelli) di Gad Lerner. Le perfezioni provvisorie (Sellerio) di Gianrico Carofiglio (Sellerio). Milano è una selva oscura (Einaudi) di Laura Pariani (Einaudi). Accabadora (Einaudi) di Michela Murgia. Silvia Avallone si aggiudica il riconoscimento per l’opera prima con Acciaio (Rizzoli) Niente da dire, tutti (o quasi) titoli meritevoli. Però...

A guardar bene ci sono gli estremi per imbastire una nuova polemica. Il Gruppo Mondadori compare tre volte nella lista, con la casa madre ed Einaudi. Vuoi vedere che a capo della diabolica macchinazione c’è qualcuno ancora più in alto del ministro Bondi? Si apra un nuovo fascicolo.

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