Bce, governi all’attacco: «I tassi non vanno alzati»

da Milano

Accerchiata dai governi dell’eurozona, messa sotto accusa dall’Opec, malvista dagli imprenditori. Eppure, tanto forte da resistere alle pressioni; così forte, da mettere in pratica quanto già promesso all’inizio di giugno: un rialzo dei tassi da un quarto di punto. Con buona probabilità, domani la Bce non si tirerà indietro, ma la decisione di una stretta innescherà polemiche ancora più roventi.
Il fronte politico sfavorevole a un cambio di registro della politica monetaria si è andato compattando negli ultimi giorni, con la creazione di un insolito asse Madrid-Parigi-Berlino, appoggiato dal Cartello petrolifero, convinto che la banca europea farà salire i prezzi del petrolio. Quanto alla Spagna, il premier José Luis Zapatero è tornato la scorsa settimana a ribadire quanto aveva dichiarato il mese scorso, rimproverando all’Eurotower di «essere troppo orientata al controllo dell’inflazione». Il punto cruciale sta proprio nei benefici anti-inflazionistici che deriverebbero da un giro di vite al costo del denaro. La Francia, per esempio, non ne è affatto convinta. Anzi. Già duro nell’intervento di lunedì scorso del presidente Nicholas Sarkozy, l’Eliseo ha manifestato ieri una aggressività ancora maggiore nei confronti del connazionale Jean-Claude Trichet, durante l’inaugurazione della presidenza di turno francese all’Ue. Un aumento dei tassi «è come dare un segnale agli investitori perché investano nell'euro; ciò farà salire il suo valore in rapporto alle altre monete, aumentando i problemi della competitività europea sui mercati internazionali; con l'aumento degli interessi sui mutui si farà precipitare il mercato immobiliare, già in crisi; le imprese faranno meno investimenti, perché dovranno pagarli più cari, e meno investimenti significa meno crescita».
Inoltre, secondo la Francia lo strumento dei tassi era appropriato 20 anni fa, quando occorreva riportare sotto controllo una massa monetaria non corrispondente alla ricchezza prodotta. «Oggi l'inflazione non viene affatto dalla massa monetaria eccessiva, viene dai rincari del petrolio e delle materie prime. Prosciugare la creazione di moneta per rispondere ai rischi inflazionistici causati dal petrolio è inefficace nella migliore delle ipotesi, controproducente nella peggiore».
La Germania usa toni soft, ma il secondo intervento a distanza di pochi giorni del ministro delle Finanze, Peer Steinbreuck («Un rialzo dei tassi fornirebbe al mercato segnali negativi che acuirebbero il rallentamento in atto»), è un segnale molto forte: mai in passato Berlino si era schierata in modo così netto contro la Bce.
Più sfumata è la posizione dell’Italia, che però mostra di preferire il mantenimento dello status quo monetario.

«Abbiamo pieno rispetto per la Bce, ma abbiamo ancora maggiore attenzione per la preoccupazione di tutti i giorni dei cittadini che non ce la fanno ad arrivare a fine mese», ha detto il ministro degli Esteri, Franco Frattini. Secco il commento dell’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne: «L’aumento dei tassi non fa bene all’industria».

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