Benessere

Ilaria Capponi, la bulimia e la moda: “mangiavano cotone imbevuto d’acqua per resistere alla fame”

"Il disturbo mi ha portato a vomitare fino a tante volte al giorno, tutti i giorni. Vedevo cose agghiaccianti dietro le passerelle, tra cui assumere droghe per andare avanti"

Ilaria Capponi, la bulimia e la moda, “mangiavano cotone imbevuto d’acqua per resistere alla fame”

“Se sono alta 1,81 non posso pesare 51 kg per entrare in una 38 ed essere in salute. Oggi si passa dalle modelle magrissime a quelle curvy, senza la via di mezzo salutare”. Ilaria Capponi che oggi è un’imprenditrice e si occupa di comunicazione per grandi realtà, il mondo della moda lo conosce bene. Dopo il primo casting a 13 anni era già sulle passerelle e sui cartelloni pubblicitari. Insieme alle sfilate è iniziata la bulimia che l’ha portata a vomitare anche più volte al giorno. I disturbi alimentari e l’ossessione per il peso possono spingersi oltre: “ho visto ragazze giovanissime mangiare cotone imbevuto d’acqua per saziarsi e non assimilare calorie – racconta. Si è pronti a tutto pur di controllare i segnali del corpo, pagando un prezzo altissimo, mentre si fanno strada i danni all’organismo. L’uso di medicinali destinati ai diabetici è una delle ultime pericolose tendenze tra le modelle e comporta anche un rischio di carenza per chi quei farmaci li assume per salvarsi la vita.

In Italia si ipotizza siano almeno 5 milioni a soffrire di anoressia, bulimia e binge eating disorder. Molte sono bambine sui dieci anni o poco più. Le pressioni sociali continue a cui sono sottoposti i più giovani sono complici, come i modelli estetici irraggiungibili proposti di continuo in rete. Sono quasi tutte donne, per una cultura radicata che espone più facilmente il loro corpo al giudizio ma oggi aumentano anche i casi di ragazzi: tra i fattori di rischio, aspettative eccessive da parte della famiglia o della società che chiede di essere sempre iper-performanti. La bulimia di cui ha sofferto per 11 anni Ilaria è uno dei disturbi più difficile da vedere per questo il disagio spesso va avanti per anni nel silenzio e nell'isolamento. E i casi sommersi sfuggono alle stime. “Eviti gli amici e le relazioni per evitare il cibo, per anni il mio valore è dipeso dai centimetri e ho combattuto contro me stessa” – racconta. Con l’arrivo dei social, la lotta al proprio corpo va avanti a suon di filtri che creano un distacco tra la propria immagine autentica e quella online.

Come è iniziato tutto?

“A 13 anni, quando ho iniziato a fare la modella, ero alta un metro e ottantuno, magrissima e senza forme. Sono stati gli anni in cui ho lavorato di più, poi crescendo hanno iniziato a fasciarmi il seno durante le sfilate, perché al mondo della moda le forme non piacciono. Lavoravo già per grandi realtà come Fendi o Cucinelli ed ero sempre accompagnata da mia madre. Nel frattempo giocavo a basket fin dai primissimi anni di età e a 16 anni sono stata chiamata in serie A e mi sono trasferita sola nel Lazio. Anche mia madre giocava in serie A e mio padre è appena tornato dagli europei in Portogallo con la nazionale over 60. Dopo un anno e mezzo di allenamenti a ritmi elevatissimi, come il professionismo richiede, avevo un fisico da atleta, potente e definito, ma non più adatto a fare la modella. In quei due anni avevo smesso di vomitare. Con l’inizio dell’università ho deciso di lasciare il professionismo e riprendere le passerelle ma non andavo più bene. Lì sono sprofondata di nuovo nella bulimia trascinandomi il disagio fino all’età dei 25 anni. Il basket è stato una scuola di vita: mi ha insegnato a guardare in faccia la fatica, a superare i miei limiti e a cambiare strategia per arrivare all’obiettivo. Lo amerò per sempre ma in serie A era diventato un lavoro e non era quello che volevo fare, perciò ho lasciato il professionismo”.

Capponi, la moda e la bulimia

Quando sono emersi i primi segnali?

“Subito dopo i primi casting. Uno in particolare non lo dimenticherò mai: eravamo più di 200 ragazze in fila con il book in mano nell’enorme salone di albergo e quattro casting director dietro al banco che selezionavano. In genere alle selezioni si va con un abbigliamento aderente che permetta di intravedere il corpo, del resto è quello che devono scegliere, un po’ come la bistecca in macelleria (fa un sorriso amaro ndr.). Quel giorno indossavo una gonna, avevo 14 anni e mamma aspettava fuori. Al mio turno, uno dei selezionatori si rivolse ai colleghi dicendo a voce alta, davanti a tutta la sala, che non gli piacevo perché avevo le gambe un po’ grosse. Poi, rivolgendosi verso di me, mi chiese di alzare la gonna per vedere i fianchi. A 14 anni non hai strumenti per gestire quella situazione, diventi rossa, alzi la gonna mentre loro commentano a voce alta, poi torni a casa e smetti di mangiare per due settimane. E così è stato.

Sono passati vent’anni ma ancora mi ricordo quel commento ad alta voce nella totale assenza di rispetto e sensibilità. È proprio dopo quel casting che ho iniziato il mio conflitto con il cibo. Il lavoro da modella da quel momento è diventato una condanna, perché ho sempre lottato con il mio corpo inseguendo una figura che non poteva esser mia. Non in salute.

Per 11 anni sono stata bulimica (con vomito autoindotto ndr.) e 11 anni sono tanti. Tantissimi. Oggi so quanto è importante sapersi approcciare ai ragazzi, per questo ho intrapreso un progetto di sensibilizzazione che porto avanti con la Federazione Italiana Pallacanestro. Ciò che uno sportivo ha di più caro, oltre al talento, è il proprio corpo. Allora impari a rispettarlo e a nutrirlo, invece di sfinirlo e mortificarlo”.

La bulimia viene spesso vissuta nel silenzio, è stato così anche per te?

“Non si è mai accorto nessuno, neanche mia madre. La bulimia ti dà la sensazione di essere un fallimento. Io ho iniziato dopo averlo sentito dalle colleghe. Vedevo cose agghiaccianti dietro le passerelle, tra cui assumere droghe per non avere fame o mangiare il cotone imbevuto d’acqua (l’ostruzione intestinale è uno dei rischi ndr.). La prima volta in cui ho visto ingerire cotone eravamo nel backstage di una sfilata. Mi avevano colpito due ragazze accovacciate e appartate: erano magrissime ma sembrava che mangiassero tanto zucchero filato e la cosa m’incuriosiva. Mi son dovuta avvicinare un po’ per capire che era un pacco di ovatta. Rimasi incredula. Lì non sono mai arrivata e sono sempre stata lontana dalle droghe. La bulimia mi ha invece portato a vomitare fino a tante volte al giorno, tutti i giorni. A ogni abbuffata i risvolti fisici e mentali erano devastanti e ogni occasione con gli amici o le cene in famiglia per le festività erano sempre un dramma che affrontavo con fatica. C’erano poi tutti gli escamotage: usavo lassativi e diuretici, rubavo le ricette a mia nonna. La bulimia non è solo vomito, cerchi modi per coprire il senso di colpa per aver mangiato, riesci ad alleviarlo con dei palliativi che sono estremamente dannosi. A questo ci arrivi dopo, quando la vita ti porta il conto. Per un periodo non avevo neanche più il ciclo, ma a 14 anni non pensi al rischio di disidratazione degli organi, al massimo ti preoccupi dei danni allo smalto dei denti”.

Quali altri comportamenti pericolosi hai visto per il controllo del peso?

“Nel mondo della moda, cocaina e anfetamine sono molto diffuse, la maggior parte delle modelle ne fa uso soltanto per annullare il senso di fame e per stare su nell’ipoglicemia. Oggi sono subentrati nuovi escamotage, le modelle si iniettano anche i farmaci per i diabetici (spesso reperiti online ndr.). Parlo molto di questi temi ai ragazzi nell'ambito del progetto con la FIP Lo sport che salva la vita, perché lo sport toglie dai vizi, dalla strada e dalla solitudine. Quello della fertilità è un altro tema a cui tengo molto ora che sono diventata madre. Ho tante colleghe modelle, con cui ho lavorato per anni, che a 33-34 anni non riescono ad avere un bimbo perché hanno compromesso il loro corpo negli anni di rinunce e privazioni alimentari. È una cosa molto grave di cui nessuno parla. Voglio sensibilizzare i giovani al rispetto per il proprio corpo, anche come mezzo per la vita”.

Come sei riuscita a dirlo al tuo compagno che oggi è tuo marito ?

“Gliel’ho dovuto dire perché spesso mi trovavo a disagio e non riuscivo a gestire le situazioni. C’erano volte in cui per esempio voleva farmi una sorpresa e portarmi a cena fuori e per me era un dramma. Dicevo di no. Quando sei dentro la bulimia il disagio è talmente forte che alla fine all’ultimo inventi una scusa e non ci vai. Se l’altra persona non sa quello che stai vivendo può interpretare male, pensare che si tratti di menefreghismo, maleducazione o poco amore. Invece eviti le occasioni con chiunque per evitare il cibo.

I momenti più difficili erano le vacanze insieme: svuotavo di nascosto il frigobar per poi uscire all’alba dalla camera mentre lui dormiva, per andare a sanare gli extra, in modo tale che lui non se ne accorgesse. Poi siamo andati a convivere ma il suo lavoro lo porta a stare fuori tutto il giorno e quindi non si è mai accorto di nulla. Dopo averglielo detto ha trovato una spiegazione a tanti comportamenti che non capiva ma non è stato facile aprirmi. Quando sei nel vortice del disturbo alimentare, il valore che hai dipende da quanti centimetri riesci a perdere e quanto riesci a rinunciare a quello che gli altri mangiano serenamente. Ti imponi regole spietate e una disciplina snervante con cui ti autopunisci quotidianamente”.

È stato il primo passo verso la guarigione?

“Una buona via di fuga me l’ha data lo sport negli anni del professionismo ma non significa che stessi bene. Averlo detto al mio compagno di vita è stato il vero punto di svolta perché non ero più sola. Stavo dichiarando di avere un problema. Lui non mi ha mai giudicata, mi è stato a fianco con grande sensibilità. All’inizio, come spesso accade in questi casi, ha un po’ sottovalutato il problema: pensava che bastasse tenere alla larga il cibo ipercalorico per mettermi al riparo dall’impulso di rimediare dopo. Poi ha compreso la profondità del problema e mi è saputo stare vicino con grande rispetto, senza mai farmi percepire un controllo che avrebbe potuto far scatenare una reazione contraria. Forse la grande forza è stata proprio farmi sentire accettata anche in quel difetto che pensavo di avere (riferito al disturbo alimentare ndr). Inconsciamente non ne parli a chi ti sta a fianco perché ti sembra una debolezza e hai paura di non essere all’altezza dell’altra persona. Lui quando l’ho messo al corrente invece mi ha fatto sentire amata e accettata anche con la bulimia".

Quali sono state le tue risorse per uscire dalla dinamica patologica della bulimia?

“Durante gli anni di disturbo alimentare ho letto tantissimi libri, mi sono informata attraverso testi di auto-aiuto e piano piano ho maturato una consapevolezza nuova. Ho scelto di andare in terapia da grande, durante la gravidanza. Fu la dottoressa a dirmi che in quel momento avevo già maturato un equilibrio per affrontare la gravidanza in modo sereno. Ancora oggi, dopo la nascita di mio figlio, anche se ho imparato a perdonarmi gli sgarri, ho comunque un rapporto strano con il cibo e mi do delle regole: quando faccio uno sgarro, il giorno dopo sto molto attenta. Posso dire che la prima cosa a cui penso quando mi sveglio e l’ultima quando vado a dormire è il cibo (racconta sorridendo ndr.)”. Un rapporto che credo non mi abbandonerà mai ma che ho imparato a gestire e rendere pacifico”.

Ci sono mondi come quello della danza o quello della moda fortemente a rischio di disturbi alimentari. Quanto è difficile liberarsi da quella mentalità?

“Purtroppo te li porti dentro, finisci per ragionare in centimetri. Ci ho fatto anche la tesi di maturità sul tema, dal titolo: 90-60-90: L’emblema della perfezione contro i limiti della razionalità. Canoni che non hanno alcun senso visto che siamo tutti di altezze diverse: negli anni da modella, essendo alta 1,81, per entrare nel campionario della taglia 40 dovevo pesare sui 51-52 kg. Ci sono stata di rado ma quando ci sono stata ho lavorato tantissimo. L’alta moda è quasi tutta taglia 40 nella nostra realtà nazionale, anche se hanno abolito la taglia 38 di fatto hanno portato la vestibilità della 40 alla 38. Perciò a un certo punto ho deciso di lavorare solo con brand che rispettavano la mia fisicità. Ho lasciato perdere agenzie e casting dove mi chiedevano di perdere 5-6 chili prima dello shooting, mentre ero già al limite del sottopeso. Lavoravo molto meno ma sceglievo campionari con la taglia 42 che corrispondeva a un canone sano per la mia altezza. Ci sono molte aziende che mantengono una taglia umana. Nel cuore porto l’italiana Brunello Cucinelli".

capponi abbandona passerelle

La bulimia è come una droga, oggi che ne sei fuori come vedi il mondo della moda?

“Sì, la bulimia è un po’ come la tossicodipendenza o l’alcolismo, è una dipendenza dal controllo del peso. Finché ci sei dentro pensi di poter smettere quando vuoi, quando arrivi a capire che non è così fai fatica ad alzare la mano e chiedere aiuto. Per questo spesso ti accompagna per anni. Io conosco donne che evitano di avere un figlio perché non riescono ad accettare l’idea che il corpo cambi in gravidanza. Una cosa del mondo della moda che mi fa arrabbiare più di tutti e che si passi dalla modella anoressica a quella curvy. È giusto che il campionario abbia un’unica taglia ma è importante che le modelle per entrare in quel campionario abbiano una fisicità che consenta loro di essere in salute. In altre parole se vuoi modelle alte 1,80 non puoi pretendere che pesino 45 kg. Se la scelta è di avere un campionario di taglia 38 magari anche per risparmiare sulla stoffa, allora vanno selezionate ragazze che abbiano un’altezza che possa stare in quella taglia senza che il loro corpo sia portato allo stremo. Serve un equilibrio umano e sano tra altezza e peso delle modelle. È questa la cosa importante, non la pagliacciata delle nuove curvy come lotta alla magrezza delle modelle. L’estremizzazione cozza in entrambi i casi: va normalizzato il benessere, non l’eccesso”.

Con tuo figlio come ti approccerai nei confronti di questi temi?

“Sincera? Non lo porterei mai a fare un casting. Ovviamente sono consapevole che oggi bastano i social per entrare nel vortice del wild judgment. Quello che va fatto a livello genitoriale è seguire e dialogare quanto più possibile con i propri figli. La bulimia è bastarda perché non la vede nessuno. Ecco perché voglio sensibilizzare i genitori sull’ascolto e sull’osservazione dei figli. Viviamo in una società frenetica: anche io sono una mamma che lavora tanto. Mio figlio è ancora piccolissimo ma già da ora cerco di concentrare tutte le mie energie quando sono con lui, senza telefono in mano.

Oggi i ragazzi hanno un altro problema: si sono creati un’immagine sui social che non rispecchia la realtà. Mi è capitato di parlare con una ragazzina che rinunciava a incontrare un ragazzo perché non si sentiva all’altezza dell’immagine che gli aveva mostrato sui social. Il messaggio che voglio dare ai ragazzi è proprio quello di dare importanza al reale che è unico e irripetibile, non per forza perfetto, ma vero. Oggi gli adolescenti vanno dal chirurgo perché vogliono essere come appaiono sui social. Vivono attraverso questa versione filtrata di se stessi, abbattendo giorno per giorno la propria autostima".

Chi è Ilaria oggi e che nuova consapevolezza hai raggiunto?

“Quello che dico sempre ai ragazzi è che non bisogna dare per scontato mai che domani potremmo fare diversamente. Ho finalmente iniziato a godermi il presente e lo sto facendo con la voglia di riscattare l’amor proprio che non ho mai avuto in tutti gli anni della malattia. Oggi mi sento con l’energia giusta e con i piedi ben piantati per terra. Tutti i giorni cerco di continuare a migliorarmi ma la cosa che mi sta più a cuore e rispettare me stessa, la mia salute, la mia autostima, il mio corpo. La cosa che ha più valore, più delle lauree, più dei soldi, più dei riconoscimenti altrui, sono io. Quindi Ilaria oggi è Ilaria per la prima volta”.

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