Il Blue Note va in vacanza coi ritmi di Hernandez

Franco Fayenz

Oggi e domani ritorna al Blue Note (via Borsieri 37, ore 21 e 23.30) il batterista cubano Horacio Hernandez, già apprezzato nello stesso club come collaboratore del pianista Chucho Valdez. Questa volta Hernandez (che è misteriosamente soprannominato El Negro, mentre non lo è affatto) si presenta come direttore di un pregevole quartetto che comprende Amik Guerra alla tromba, Ivan Bridon al pianoforte e Daniel Martinez al contrabbasso.
Hernandez ha oggi 42 anni, poiché nasce all’Avana nel 1963. Ha il privilegio di trascorrere l’infanzia e l’adolescenza in una famiglia di musicisti con profonde radici nella tradizione della musica cubana, e nello stesso tempo attenti all’influenza del jazz, molto sentita nell’isola (basti pensare all’afro-cuban-bop). Horacio mostra una precoce disposizione per la percussione musicale: a 17 anni impressiona il pianista e compositore Gonzalo Rubalcaba che lo scrittura e lo tiene con sè per dieci anni, pur permettendogli di collaborare nel frattempo anche con altre formazioni. Il batterista naturalmente ne approfitta, e lavora con la celebre United Nations Orchestra diretta da Dizzy Gillespie ottenendo un decisivo successo personale. Nella seconda metà degli anni Ottanta soggiorna per qualche tempo a Roma, dove diventa un punto di riferimento per l’ambiente del jazz; nel 1993 ritorna negli Usa, richiesto soprattutto da Paquito D’Rivera, Arturo Sandoval e Chucho Valdez con il quale (e con Carlos Santana) è protagonista a San Francisco di un memorabile concerto intitolato Irakere West. Firma numerosi dischi, due dei quali vengono premiati con il Grammy. È anche un valoroso insegnante: tiene workshop in tutto il mondo, e suo è un metodo per percussione intitolato Conversations in Clave.
I concerti di Horacio Hernandez sono gli ultimi del Blue Note prima della pausa estiva. Il club riaprirà martedì 6 settembre e proporrà subito un notevole exploit ospitando il sassofonista Phil Woods. La stagione 2004-2005 del club ha avuto episodi talvolta straordinari, sui quali ritorneremo. Giova peraltro dire che questo finale di luglio è stato stupendo. Ci riferiamo ovviamente al quartetto con John Abercrombie alla chitarra, Mark Feldman al violino, Marc Johnson al contrabbasso e Joey Baron alla batteria, della cui magnifica espressività nessuno dubitava. Inpressionante peraltro, in quanto un po’ inatteso, è stato l’esito trionfale dell’unica serata (con due set) di cui è stato protagonista il contrabbassista Avishai Cohen con Sam Barsh al pianoforte e Mark Guilana alla batteria.
Si sapeva che Cohen, pur avendo soltanto 34 anni, è uno dei migliori contrabbassisti del mondo per tecnica e vigore espressivo (gli italiani lo hanno ammirato sette anni or sono con il sestetto Origin di Chick Corea). Questa volta lo si attendeva alla prova anche come direttore e compositore, ed è quasi riduttivo affermare che ha letteralmente affascinato gli spettatori.

Fin dalla prima composizione-esecuzione (Toledo, tratta dal recente cd At Home) gli intenditori sono rimasti colpiti dalla profondità armonica e da una sorta di andamento a parabola, per cui la musica si è via via fatta più intensa, fino a culminare in un vertice fortissimo per poi spegnersi progressivamente. Con sè, Cohen ha portato due giovani talenti di New York che lo hanno coadiuvato alla perfezione, contribuendo brano dopo brano a uno dei migliori concerti che si siano ascoltati al Blue Note.

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