Questo attentato va letto come il risultato della incredibile leggerezza con la quale in Italia si trattano i problemi militari. E il prezzo lo pagano i soldati.
Solo la Spagna, nell’imminenza dell’arrivo di Zapatero, ci ha surclassato nello sfogliare la margherita del «partire o restare» dai teatri di operazione. Poi le bombe di Madrid, alla vigilia delle elezioni, dettero il colpo di grazia all’indecisionismo iberico.
Dopo l’ultimo attentato di Nassirya dovevamo «stringerci a coorte» e dare l’immagine di un Paese unito pur nelle divisioni inevitabili della politica. Alcuni invece hanno dato uno spettacolo indecoroso e il prezzo lo stanno pagando i soldati.
Quando gli assassini di Kabul hanno letto le interviste di non pochi esponenti del centrosinistra, che incitavano alla fuga, a dispetto dei programmi ufficiali che, prima delle elezioni, dichiaravano solennemente il rispetto degli impegni internazionali, si saranno domandati se non era il caso di dare un aiutino a quelli che volevano fuggire, perché le loro ragioni prevalessero su coloro che gli impegni vogliono rispettare, giusti o sbagliati che siano.
I terroristi di Nassirya, come quelli di Kabul, devono farsi matte risate prima degli attentati immaginando la confusione che riescono a creare in questo sciagurato Paese con un paio di chili di tritolo. Un altro attentato non farà che aumentare la confusione, si dicono sghignazzando, quindi non lesiniamo sul tritolo.
E a proposito di sghignazzate, non c’è un comandante, non c’è un’autorità istituzionale che taciti quel Pecoraro Scanio che se la ride ai funerali delle tre vittime di Nassirya. Dobbiamo attenderci la sua giuliva partecipazione anche ai funerali di questi due poveri ragazzi?
In un Paese dove gli strateghi sono più numerosi dei commissari di calcio, abbiamo dovuto assistere anche all’esibizione del solito generale in congedo, ancora speranzoso d’una sistemazione politica, che trova improvvisamente voce per criticare, con gusto pessimo e argomentazioni se possibile peggiori, il lavoro di chi è lì, con il sedere sulle bombe, mentr’egli non rischia altro che un raffreddore da aria troppo condizionata.
Tutti questi sono istituzioni o uomini dello Stato che tormentano quando non dileggiano gli uomini in operazioni.
Dignità, riscoprire il valore di questa parola, dignità, per decidere ora e tutti insieme di operare secondo quanto prospettato dai programmi elettorali e, in ogni caso, sostenendo senza esitazioni il lavoro immenso dei nostri soldati, qualunque cosa accada. Questa è dignità di Paese sovrano.
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