Bracco: «Subito grandi opere per incoraggiare lo sviluppo»

Il presidente di Assolombarda: «Il deficit delle infrastrutture va superato per dare fluidità al sistema. Troppa burocrazia uccide le piccole imprese»

da Milano

Della ripresa nel Nord Ovest abbiamo parlato con Diana Bracco, numero uno dell’omonimo gruppo farmaceutico e presidente di Assolombarda. Perché se la Germania è stata definita la «locomotiva» d’Europa, la Lombardia ha tutti i numeri per fregiarsi dello stesso titolo nell’economia italiana. E quindi anche nell’ambito del rinato - o forse solo riscoperto - triangolo industriale.
I più recenti dati congiunturali sembrano indicare un ritorno del vecchio Triangolo del Nord Ovest. E a dirlo è anche il sentiment degli imprenditori. Dal suo osservatorio, si sente di confermare questa tendenza?
«Il rapporto Assolombarda-Isae aveva colto i primi segnali incoraggianti già dopo l’estate 2005. E ora i dati del primo trimestre 2006 ci permettono di parlare di ripresa anche se sempre con prudenza visto il prezzo del petrolio. In particolare emerge il dato della fiducia, soprattutto nelle imprese manifatturiere milanesi, che dal settembre 2004 al marzo di quest’anno è passato dal 92,8 al 98,6».
Rivendica quindi un ruolo guida delle imprese milanesi?
«Basterebbe ricordare che la nostra provincia crea oltre il 10% del Pil italiano, mentre l’export è il 13% del totale nazionale. E non sono primati piovuti dal cielo, ma figli del coraggio e della capacità di rischiare in proprio, perché soprattutto quando si va fuori, nel mondo, la competizione è durissima».
Tra l’altro non è soltanto il settore manifatturiero a tir4are...
«Un ruolo sempre più importante nella nostra economia ce l’ha il terziario innovativo, che va dall’alta tecnologia ai servizi, dalla comunicazione all’intermediazione».
Mi consenta però di ritornare ai mercati esteri, perché soprattutto in alcuni, nuovi e lontani, si è solitamente molto soli.
«Proprio per questo tengo a sottolineare il coraggio delle tante piccole imprese nostre associate (sul totale di 5.876 sono al 96,76% sotto i 250 dipendenti, ndr) che stanno percorrendo il difficile cammino dell’internazionalizzazione, andando a competere non solo sui mercati europei, ma spingendosi anche verso quelli nuovi e più difficili, come Cina e India».
Su questo punto sente di dover chiedere qualcosa alla politica, a nome dei suoi associati?
«Vorrei che si insistesse sulla strada tracciata in questi ultimi anni con le grandi missioni all’estero e con il nuovo ruolo di supporto assunto dalle ambasciate».
Allarghiamo lo sguardo alla ripresa dell’intero Nord Ovest. Come se la spiega?
«Credo che le imprese di quest’area abbiano capito prima di altre che di fronte alla globalizzazione non si poteva stare fermi ma occorreva reagire, puntando sull’innovazione. Nuovi prodotti e processi, nuove idee di marketing e coraggiose riorganizzazioni hanno permesso a tanti di tornare a crescere. Il caso Fiat è emblematico. Penso che un vero punto di forza dell’area sia la straordinaria rete di università e centri di ricerca pubblici e privati per incentivare e seguire da vicino la riconversione delle intelligenze e delle competenze».
E come interpreta l’attuale, seppur lieve, superiorità sul fenomeno Triveneto?
«Forse il Nord Ovest è oggi più forte perché vanta molte imprese con una lunga storia alle spalle, mentre il Nord Est, più giovane, deve ora trovare nuove strade per crescere dopo un’espansione rapidissima fatta sì di tanto lavoro, ma con minore incidenza tecnologica».
Dopo le rose, le spine.
«Ciò che serve, specie ai piccoli, è la semplificazione burocratica: accorciamento dei tempi e un minor numero di persone da impegnare per risolvere le pratiche».
E poi? Tutte qui le doléances?
«Certo che no. Come tutti i miei colleghi mi preoccupa il livello dei costi di energia e materie prime. E come azienda esportatrice mi allarma l’ennesimo indebolimento del dollaro che finirà col crearci difficoltà sui mercati esteri. Per questo chiediamo politiche che ci facciano recuperare competitività e che affrontino i nodi strutturali, a iniziare dal controllo dei conti pubblici. E poi c’è il deficit delle infrastrutture, che va superato per dare al sistema quella fluidità indispensabile allo sviluppo.

Non si può accettare che l’asse viario da Ovest a Est e viceversa continui a essere quello che è oggi».
Ovvero?
«Un lunghissimo parcheggio di automobili e tir che si muove nei due sensi. Ma piano, pianissimo, quasi impercettibilmente».

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