Quando viaggiare era ancora un piacere, poteva capitare che tre studenti inglesi di ottima famiglia scegliessero la Grecia come meta finale di un itinerario attraverso lEuropa, ma avessero difficoltà a trovare la strada che da Londra conduceva al porto di Grimsby, loro imbarco per quello di Amburgo... Viaggiavano su una Sunbeam da turismo grigio scuro, avevano bauli ingombranti e per valige una scorta di buone bottiglie per tenere alto il morale. Dei tre, uno aveva qualche esperienza del Nord Europa, un altro poteva vantare un soggiorno di cinque settimane in Italia, lultimo era stato a Panama... Avevano tempo, avevano soldi, erano curiosi, non erano stupidi.
LEuropa vista dal parabrezza (Excelsior 1881, pagg. 406, euro 16,50) è il resoconto di quel viaggio. A scriverlo fu il più giovane del terzetto: si chiamava Robert Byron, aveva ventun anni, fu il suo primo libro.
Adesso che viaggiamo tutti, libri così non sono più possibili. Un giovane doggi ha visto più luoghi di un suo coetaneo di allora, gli anni Venti del secolo scorso, e conosce più cose, ma il turismo e la cultura di massa si portano dietro la superficialità e la fretta: si guarda senza vedere, si sa senza conoscere, e quello che era una volta un apprendistato alla vita, oggi è uno dei tanti optional della vita stessa. Siamo meno ingenui, ma non per questo più profondi.
I compagni di viaggio di Byron, nel libro camuffati con nomi fittizi, erano Gavin Henderson, nipote di Lord Faringdon, finanziere e plutocrate, e Alfred Duggan, figliastro del marchese di Curzon. Il primo faceva da driver, il secondo da navigatore. In mezzo a loro, per via delle spalle strette e della corporatura minuta, nel sedile anteriore cera appunto Byron, incaricatosi di tenere il diario di bordo. Membri del Club degli Ipocriti di Oxford, inglesi sino al midollo, non per questo erano inconsapevoli di quel misto di filisteismo e di razzismo strisciante che caratterizzava latteggiamento di tanti loro compatrioti fuori dalluscio di casa. Non è un caso che le parole che chiudono LEuropa vista dal parabrezza parlino di «un nuovo orgoglio di razza, lorgoglio di essere, oltre che inglese, europeo».
La Germania di Weimar, lAustria che ha appena visto scomparire il suo impero plurisecolare e multietnico, lItalia delle mille città darte che è passata dal post-risorgimento liberale al fascismo, la Grecia schiacciata dal suo stesso passato e costretta a contemplarlo dal basso della propria decadenza nazionale, furono le tappe di questo gran Tour, dove si mischiano annotazioni archeologiche e architettoniche, considerazioni sociali e politiche, scene di vita quotidiana, pettegolezzi locali e reminiscenze di pettegolezzi britannici.
Lettore onnivoro, nemico dichiarato del formalismo scolastico di casa propria, cultore di Spengler, Byron cerca a Oriente, nellarte bizantina, ciò che gli «inerti corpi di pietra» imbalsamati dOccidente non riescono più a dargli: emozione, colore, senso del nuovo. Il libro è pieno di giudizi taglienti, spesso impietosi, a volte sbagliati, mai banali. Lo stile è colloquiale, senza essere sciatto, in grado di padroneggiare dialoghi e descrizioni. Non a caso Bruce Chatwin se ne dichiarerà debitore. È da Byron infatti che egli apprende e rifà a modo suo quel sapiente amalgama di alto e basso, verità e finzione, gusto del particolare, capacità aneddotica, understatement, senso delle descrizioni.
Chatwin morì che non aveva ancora cinquantanni, Byron non superò i trentasei, nel febbraio del 1941.
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