C'è chi dice no agli Imperi illiberali e alla venerazione della tecnica

La democrazia non può sopravvivere senza grandi idee condivise sul futuro

C'è chi dice no agli Imperi illiberali e alla venerazione della tecnica

Dominique de Villepin non è solo l'ex primo ministro francese ed ex ministro degli Interni e degli Esteri, quello che nel 2003 pronunciò all'ONU il celebre discorso per scongiurare la guerra contro l'Iraq, è anche l'autore di libri che hanno per tema l'epopea napoleonica, le qualità essenziali dell'uomo europeo, l'elogio dei poeti designati con la metafora di "ladri di fuoco". Un politico e diplomatico alla cui formazione hanno contribuito il gaullismo, l'eredità cristiana, il personalismo di Jacques Maritain, la fedeltà al laicismo della Rivoluzione del 1789. Uno nutrito di cultura umanistica, e, in un mondo che la sta mettendo sotto i piedi, suo appassionato difensore e rifondatore. Questa la eclatante novità di un libro come Le pouvoir de dire non (Il potere di dire no) uscito da pochi giorni presso l'editore Flammarion, in apertura del quale de Villepin dà una definizione folgorante di cosa possono essere i libri oggi: "barricate di speranza", per inventare nuovi futuri e nuovi mondi possibili. Il libro di de Villepin individua innanzi tutto grandi trasformazioni epocali. La caduta di Prometeo, lo spirito che ha sorretto l'idea stessa di progresso, e che ha finito per manifestarsi nello sfruttamento senza criterio delle risorse, nell'intensificazione continua degli scambi mondiali, nell'espansione della sfera della merce nelle nostre vite, nella centralità della potenza militare e nell'illusione di rivaleggiare con gli dei. Il sogno di andare oltre i limiti continua nella tecnologia, nella IA, che non è né liberazione né emancipazione condivisa, visto chi sono i suoi pochi padroni. Non è che perché la tecnologia esiste, tutto ciò che produce sia auspicabile, desiderabile, opportuno, come ormai i più sembrano credere e ripetono da zombie. De Villepin ricorda che già nel 1947, nel suo La France contre les robots, il grande scrittore cattolico Geoges Bernanos chiamava senza mezzi termini "imbecilli" coloro che si sdilinquivano all'idea di un treno che unisse Parigi a Marsiglia in 15 minuti. Il transumanesimo, che promette di rompere i limiti biologici dell'essere umano, la manipolazione genetica, le biotecnologie, la fusione uomo-macchina, tutto deve essere sottoposto a un vaglio che decida la loro utilità per la persona umana e la loro legittimità morale. Il lettore capirà da queste premesse, così lontane dal dibattito politico e culturale come è inteso in Italia, a che cosa de Villepin invita a dire no. Agli Imperi illiberali, come, per lui che non cessa di amare Melville, Faulkner, Philip Roth, è ormai quello americano, e come sono quello russo-zarista e quello cinese. Invita a dire no a quella che chiama "Ipercrazia", una forma "liquida e tentacolare di potere globalizzato, mediatico, algoritmico, deresponsabilizzato", fondato sulla verticalità del comando, sul culto dell'efficienza, sulla sottomissione al capo, che sacrifica "il dibattito alla decisione, la giustizia alla sicurezza, il diritto all'ordine, la ragione alla ragione di Stato". A dire no a ogni dispotismo, anche a quello mascherato, dove la democrazia è pura facciata, e tu sei libero a condizione di accettare che tutto sia già deciso per te. Ma un vento di risveglio, di speranza, di utopia soffia in queste pagine. La cultura, anche quella letteraria che de Villepin evoca da Montaigne e Tolstoj sino a GaoXingjan e persino a Rumi e a Sepehri, per de Villepin è un baluardo contro la disumanizzazione: non un ornamento ma la colonna vertebrale di una vera, vitale società democratica. La spiritualità e la coscienza del sacro ci ricordano che esiste una parte di insondabile che regola le vite degli uomini e delle società: e una società senza spiritualità si trasforma presto in macchina, come senza immaginazione si riduce a mercato. Conscio dello scandalo che può destare questa sua posizione, de Villepin scrive che bisogna "reincantare" la politica, senza evidentemente dimenticare la durezza del mondo. La democrazia ha bisogno di racconti, di un linguaggio comune che sappia dire "noi, il popolo", di invenzioni condivise, di utopia per non essere pura gestione e mesta rassegnazione. Per de Villepin, finalmente sento qualcuno affermarlo, la realtà così come è non è una partita chiusa, il futuro non è confiscato. Si può, si deve contestare la diffusa narrazione sull'impotenza che rende vano ogni desiderio, ogni avventura di rinnovamento. Secondo de Villepin è ora di suonare campane a festa per l'Europa. Di fronte agli Imperi, alla Ipercrazia, l'Europa può diventare un antidoto, a patto che noi pensiamo a un nuovo universalismo europeo, non prometeico, difensore dei diritti civili ma anche di quelli dell'anima, i diritti alla bellezza, alla pace, alla felicità. De Villepin cita Malraux, secondo cui la grandezza è da intendere come elevazione, non come dominazione. In Italia si scherza spesso sulla grandeur della Francia. Ma solo una certa idea di grandezza poteva ispirare un libro come questo. Una così appassionata difesa dell'umanesimo e dell'umano. Donchisciottesca quanto si vuole, ma non meno coraggiosa e, io spero, contagiosa. C'è una Francia universale che ha sempre parlato al mondo , quella esaltata da Victor Hugo, quella di cui Henry Miller scriveva che abbiamo tutti bisogno. E c'è una Francia terrestre: che è come l'Italia: paesaggi, cattedrali, officine, volti, memoria collettiva fatta da milioni di memorie, da milioni di vite con le loro sofferenze e le loro gioie, con il loro lavoro e le loro speranze. Il fattore umano è la ricchezza dell'Europa, illuminista e cristiana, con il suo culto della libertà, il suo considerare la singola persona il centro della società.

Così rispetto al sogno americano e a quello cinese, che possono virare verso l'incubo, e in parte già lo fanno, de Villepin ci invita a sperare che il XXI secolo non sarà quello degli Imperi, ma quello delle Repubbliche dei viventi, dove tutto ciò che è umano, che promuove il sentimento della felicità della vita, e di una buona vita, venga preservato e offerto come modello al resto del mondo.

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