Ma c’è qualcuno che festeggia: l’ultrà

di Mario Celi
Il fallimento del «cavolo della pace», lapsus di Sara Benci su SkySport24 immediatamente twittato dal suo impietoso co-conduttore, la dichiarazione di illegittimità della tessera del tifoso proprio alla vigilia di quel Catania-Palermo con vittima annessa che fu l’avvio per determinarne l’applicazione, il gol più lungo della storia (gli 11 giorni intercorsi per concludere Padova-Torino e giocare 14’ in uno stadio deserto) e gli immancabili (e giustificati) ricorsi. Concomitanza di fatti che stanno a dimostrare una cosa sola: il calcio è nel caos e chi ne è padrone o dovrebbe governarlo va alla cieca, sembra una falena impazzita, trova espedienti più che soluzioni. «Dovevamo parlare del nostro futuro», lamenta Galliani. E nulla si è detto a proposito. Il capo dello sport italiano, Gianni Petrucci, pecca di eccesso di ottimismo e commette quella che per un uomo navigato come lui è un’incomprensibile ingenuità: non aver considerato la possibilità del fallimento. Se vuoi tentare di conciliare posizioni inconciliabili devi avere la forza di imporre ad entrambe le parti un passo indietro. Se non se ne è in grado, non si acquista credibilità annunciando a conclusione del nulla di fatto che «le scorie di Calciopoli sono ancora molto scottanti, per cui ognuno è rimasto nelle proprie posizioni». Petrucci ci ha provato, è andata male. Se c’è da ricercare una responsabilità non va neanche addossata al presidente del Coni ma alla sciagurata decisione del 18 luglio scorso quando Giancarlo Abete, presidente di quella Federcalcio che nel 2006 ha deciso di creare una grottesca commissione di saggi per assegnare quello scudetto, sostanzialmente decise di non decidere e lasciò in chiesa sostanzialmente chi era stato dimostrato non fosse poi così santo.
È difficile individuare come si possa uscire da questo impasse con un sistema sportivo che la Figc ha dimostrato di non saper governare. A gioire del fallimento, bastava farsi un giro nei vari siti web dei tifosi, sono gli ultrà, quelli per cui con il «nemico» non si scende a patti, l’inciucio non è contemplato, niente accomodamenti, non si parli di soluzioni «tecniche».

Gli juventini ritengono che la loro squadra abbia conquistato due scudetti sul campo e gli interisti sono convinti che il tricolore 2006 spetti loro di diritto per le «schifezze» ordite dalla triade bianconera. Posizioni inconciliabili come quelle dei due presidenti ultrà Agnelli e Moratti.
Resta poi un altro dubbio: perché Moratti è l'unico partecipante al tavolo a viaggiare su un'auto con il lampeggiante blu?

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica