A caccia dei tesori della Parigi occupata

Il nuovo romanzo di Patrick Modiano è un viaggio nella memoria per svelare i segreti della malavita

A caccia dei tesori della Parigi occupata

C'è un segreto nascosto nelle pieghe della memoria di Jean Bosmans, oggi anziano scrittore più o meno di successo, ieri timido ragazzino della provincia francese e poi giovane parigino in cerca della propria vocazione. Come sempre accade nei romanzi di Patrick Modiano, e anche questo, La strada per Chevreuse (Einaudi, traduzione di Emanuelle Caillat, 117 pagine, 16 euro), non fa eccezione, l'origine di tutto risale ai tempi dell'Occupazione, ferita sempre aperta nella sua personale biografia: attrice di poco talento la madre, ebreo di origine italiana il padre, l'una e l'altro collaborazionisti in quella Francia allora sotto i tedeschi, nonché anaffettivi con il figlio che proprio allora vedrà la luce

Qui, invece, ci sono i traffici poco puliti di tre ventenni dell'epoca, René-Marco Heriford, alias capitano Heriford, Michele de Gama, alias Michel Degamat, alias Renato Gama, Philipe Hayward. Nell'estate del 1944 li ritrovavi nei caffè intorno alla gare Saint-Lazare, collusi con il nazismo sino alla Liberazione e poi in fiammanti divise americane o nelle uniformi della Resistenza francese E poi ce n'è un quarto, Guy Vincent, più grande e meno fortunato, visto che a guerra finita ha fatto più galera di loro e però, fra un soggiorno in cella e un altro, ne è sempre rimasto il capo «Guy è appena uscito di prigione» è la frase che Jean Bosmans «ha udito per caso durante l'infanzia» e sempre durante linfanzia quel Guy Vincent l'ha anche conosciuto, ospite in quella stessa casa in cui lui bambino veniva abbandonato dai suoi genitori a degli sconosciuti, e dove anche gli altri ventenni del tempo che furono finiscono per gravitare, un sorta di casa d'appuntamenti, sembra, o di crocevia per gli sbandati che al dopoguerra non si sono mai abituati.

Dai traffici del mercato nero Guy Vincent ha infatti ricavato un tesoro, questa la voce che corre, e l'ha nascosto: ora i suoi vecchi amici e complici vorrebbero sapere dove e avere la parte che gli spetta. Già, ma chi li può mettere sulla strada giusta? Potrebbe essere proprio Jean, perché all'epoca «non veniva in mente a nessuno di ascoltare le testimonianze dei bambini» e quindi ha potuto vedere o sentire cose su cui poi non si è attardato per saperne di più. Già, perché intanto gli anni sono passati, Jean è divenuto un uomo, ma non per questo la ricerca del tesoro ha smesso per gli altri di esistere e forse è proprio lui che bisogna interrogare, rinfrescargli la memoria, con le buone naturalmente, ma, se è il caso. «Sono degli ingenui e degli imbecilli» ha confessato un'amica di una sua amica, Martine Hayward, moglie proprio di quel Philippe Hayward che faceva parte del primitivo gruppetto dedito ai traffici proibiti nella Francia occupata. «Ingenui o imbecilli» anche perché quel tesoro con il tempo è diventato carta straccia: «Sacchi postali colmi di mazzette di banconote scadute risalenti al mercato nero. Vecchie casse di sigarette americane provenienti da ciò che veniva chiamato traffico di bionde». E poi, «lingotti d'oro che risultavano essere soltanto di piombo se grattavi la superficie». È cambiato il mondo insomma, ma loro non se ne sono accorti...

Raccontato così, La strada per Chevreuse avrebbe tutti gli elementi per definirsi un giallo o un noir più o meno d'autore. Ma quello che a Modiano interessa non è la storia in sé, tanto meno una sua linearità, ma la spuma della memoria che di volta in volta riaffiora e che però per Jean Bosmans, il suo alter ego romanzesco e anche lui scrittore, diviene materia letteraria, una sorta di mondo parallelo dove le situazioni confuse, i personaggi loschi conosciuti vengono depotenziati, non sono più temibili. Proprio perché fin da bambino Jean Bosmans ha praticato «l'arte di tacere», i nomi e i luoghi del passato assumono ora una funzione maieutica, riportano in superfice ciò che era stato nascosto, rimosso, dimenticato. E va da sé che ciascuno di noi va alla «ricerca del tempo perduto» per ragioni che non sono mai le stesse. C'è di più. Proprio perché luoghi e nomi fanno parte di una sorta di «geografia dell'anima», tempi e spazi finiscono per confondersi, così come eventi e coincidenze. Così, La strada per Chevreuse alterna il passato remoto al passato prossimo e al presente e il lettore deve stare molto attento perché basta un attimo e non capisce più in che momento della storia si trovi, se a parlare sia il Jean bambino, quello ventenne o quello che, mezzo secolo dopo, cerca di fare i conti con il primo come con il secondo. Tutto ciò, alla lunga, diventa per chi legge un po' estenuante.

Non a caso, del resto quella «geografia dell'anima» è anche una sorta di topografia di Parigi, con tutte le strade, le piazze, i ristoranti e le insegne, le fermate della metropolitana e i parchi restituita accuratamente. «La Parigi che ho vissuto - ha ammesso una volta Modiano - e che percorro in lungo e in largo nei miei libri non esiste più.

Scrivo solo per ritrovarla» e in fondo quello di «crearmi una memoria con il passato e le memorie degli altri» è alla base della sua narrativa: «I ricordi sono come un ricattatore che sei convinto di avere seminato nel tempo e che un sera bussa piano alla tua porta». Solo che non sa più perché voleva ricattarti e ormai nemmeno tu lo sai

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