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"Platini mi ha fregato!" Così Agnelli bocciò Zidane

Difficile a credersi oggi, ma l'ambientamento del francese in bianconero fu macchinoso. Al punto da far credere all'Avvocato di aver sbagliato tutto

Fonte: Wikipedia
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Il fatto è che quel francese lì ciondola per il campo. Fluttua tra le linee, anche se l'hanno preso per fare il regista. Sembra che non sappia nemmeno lui quali zolle occupare e, quando gli recapitano il pallone, pare che diventi improvvisamente materia magmatica. Gianni Agnelli scuote la testa sconsolato, appollaiato su in tribuna, al Delle Alpi. E dire che fino a qualche mese fa pareva un fenomeno. Uno capace di ordire e pennellare trame che si sottraggono all'arredamento mentale altrui. Però a lui quel ragazzo arrivato da Bordeaux non gliel'aveva mai contata giusta. Perché Agnelli preferiva Christophe Dugarry. Mica Zinedine Zidane.

Lo aveva pure detto nitidamente al suo più fidato confidente calcistico, Michel Platini, prima di allentare i cordoni della borsa per cacciare 7 miliardi e mezzo delle vecchie lire. "Guarda Michel, io prenderei Dugarry. Che dici?". E Le Roi: "Meglio Zidane, prendi lui". Era rimasto perplesso, l'avvocato. Se l'era visionato una manciata di volte, Zizou, il nastro della cassetta mangiato in avanti e all'indietro, per tentare di carpire il segreto di quel giocatore che non riusciva proprio a raccontargli nulla di concreto. Ma Agnelli era anche un uomo innamorato dei campioni del gioco. La loro opinione aveva un peso specifico differente. E se il suo fidato Platini sosteneva che Zidane avesse i numeri, allora doveva averli.

Sboccia l'estate del 1996. Tenera, per la Juventus di Marcello Lippi, fresca vincitrice della sua seconda coppa dei campioni. Che notte, a Roma. Il gol da posizione defilatissima di Ravanelli. La contesa tiratissima con l'Ajax di Jari Litmanen e degli altri prodigi. Poi i calci di rigore, con quel sigillo angolatissimo di Jugovic e Van der Sar che si distende, ma non ci arriva. Però adesso si parla anche di rifondazione. Di ciclo da rinnovare. Via i senatori Vialli, Carrera, Ravanelli, Paulo Sousa e Vierchowood. Largo al bionico Alen Boksic e ad un pugno di giovani di luccicanti speranze: Vieri, Nick Amoruso e Zidane, appunto, che all'epoca ha ventiquattro anni. Con loro arrivano anche Paolo Montero e Mark Iuliano.

Nuova spinta, dunque. Colata lavica di muscoli ed energie. Ma il tratto distintivo della fantasia resta materiale per prescelti. Affidarsi prevalentemente ad Alex Del Piero, che ha trascinato l'attempata dama in finale con quei suoi gol dalle traiettorie imponderabili (https://www.ilgiornale.it/news/sport/sera-cui-nacquero-i-gol-piero-2053872.html) non basta. Dentro Zizou, allora. Uno che per l'avvocato avrà pure molti difetti, ma di sicuro gli riconosce una cifra tecnica che si colloca ben oltre le penose vicende della normalità pallonara.

Agnelli e Lippi
L'avvocato stringe la mano a Marcello Lippi (Foto Wikipedia)

Però il francese appare fin da subito cincischiante. Condizione fisica rivedibile. Idee appannate. Al punto che Lippi lo fa pure accomodare in panchina a Vienna, in Champions. "Semplice turnover", derubrica la questione il condottiero viareggino. Nel frattempo il connazionale Platini sguaina la sciabola: "Lasciatelo divertire, vedrete che ne varrà la pena". L'avvocato però è tutt'altro che persuaso. Quel numero 21 traccheggia davanti alla difesa senza costrutto: "Il mio amico Platini mi ha tirato una fregatura", sbotta misuratamente, un giorno. Poi però cambia tutto quanto. Lippi avanza Zidane dietro le punte. Contro l'Inter, il 20 ottobre 1996, il francese stappa definitivamente tutta quella classe soltanto promessa. Gol dopo sette mesi dall'ultima segnatura (risalente ai tempi del Bordeaux) e giocate sontuose in serie. Il voto minimo è ovunque sette.

La Juventus ha trovato il suo nuovo profeta. Zidane la conquisterà a forza di reti, veroniche, tocchi vellutati, assist. Anche l'avvocato sarà costretto a deporre le armi. A gongolare per quella felice intuizione di Platini. A chiamare Zizou alle cinque del mattino seguente ad ogni partita vinta, per parlare di calcio. Eppure, oltre agli applausi, Gianni Agnelli non gli risparmierà una delle consuete staffilate assestate ai suoi campionissimi, da Boniek a Baggio, passando per Del Piero. "Zidane? Più divertente che utile", sarà il giudizio finale, tranchant. Ma pronunciato col sorriso.

E con la consapevolezza che accanto a quelle forme seducenti c'era anche moltissima sostanza.

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